Prima di mercoledì mattina della scorsa settimana, era una grande fabbrica di vestiti, ma dopo il crollo si è trasformata in un cumulo di macerie e di polemiche. In seguito al cedimento del palazzo di otto piani alla periferia di Dacca, in Bangladesh, che ha ucciso 387 persone (bilancio provvisorio) ferendone oltre 2.400, sono partite le accuse a diversi marchi occidentali che producono qui alcuni dei loro prodotti.
Erano cinque le società che lavoravano nell’edificio: le aziende Ether Tex, New Wave Bottoms, New Wave Style, Phantom Apparels e Phantom Tac, con circa tremila addetti, tra cui moltissime donne. Le compagnie New Wave, in particolare, stando a quanto riporta la ong Campagna Abiti Puliti sul suo sito, produrrebbero vestiti per alcuni brand, alcuni dei quali hanno già ammesso l’esistenza di rapporti con queste fabbriche, tra cui Primark (UK / Irlanda), Bon Marche (UK), Joe Fresh (Loblaws, Canada), El Corte Ingles (Spagna) e la spagnola Mango.
Sono spuntati anche riferimenti all’italiana Benetton. Secondo quanto riportato dall’Ansa, “nessuna delle aziende coinvolte nel tragico incidente di Dacca – ha spiegato Luca Biondolillo, di Benetton – è ad oggi un nostro fornitore. Ad una ricerca attenta abbiamo verificato che quantomeno un ordine in passato c’è stato, forse due: si tratta di una fornitura occasionale, one shot, e probabilmente in subfornitura come capita nel settore del tessile. Ma a fine marzo lo avevamo già eliminato dai nostri fornitori regolari per gli audit non convincenti che ci erano arrivati. Bisogna però precisare che questi audit non comprendono mai informazioni sulle strutture degli edifici”. Benetton, commenta l’Ansa, non smentisce le foto scattate in cui si vede tra le macerie un capo con evidente etichetta Benetton né il foglio con l’ordine, ma sottolinea l’occasionalità della fornitura.