Era stata prospettata da tutti un’imminente invasione cinese, a colpi di acquisizioni di brand italiani della moda, quando in realtà l’invasione dall’Asia c’è stata, ma da parte dei gruppi coreani che negli ultimi due anni hanno acquisto il controllo di diversi brand italiani, segnalandosi come i più credibili interlocutori da est. Nemmeno i giapponesi si erano spinti così in là e infatti l’unica azienda passata in mani nipponiche è stata Gibò, che recentemente ha acquisito Jil Sander. Guardando alla Cina il più attivo è sicuramente il colosso Li & Fung che annovera brand come Cerruti, Hardy Amies, Robert Clergerie, Delvaux e l’80% di Sonia Rykiel. Ma chi sono questi coreani e cosa vogliono dalla moda italiana? Sono le cosiddette “conglomerate” che negli ultimi anni stanno crescendo a dismisura inglobando marchi e aziende dei settori più disparati, strutturando divisioni ad hoc. La loro strategia? Far crescere i brand acquisiti con una distribuzione mirata e internazionale fatta di department store e monomarca. Per comprendere meglio questo fenomeno abbiamo voluto osservare un po’ più da vicino tre di questi colossi: Samsung (elettronica, chimica, tessile, moda), LG (elettronica e moda) e E.Land (alimentari e moda, con ben 70 brand).
LA MODA VISTA DA ORIENTE
Le imprese coreane hanno una conformazione particolare definita “from chip to ship” perché sono attive in diversi settori merceologici, appunto “dalle patatine alle navi”, o ancora meglio nel nostro caso “dall’elettronica alla moda”. Samsung, tramite la sua controllata Cheil Industries Inc. (braccio tessile del gruppo), il cui vicepresidente esecutivo è Changkun Park, ha acquisito il 100% dell’italiana Colombo via della Spiga dalla famiglia Moretti. È un marchio di pelletteria di alta gamma che oggi è presente in 8 Paesi e conta su 13 store in Corea, ma grazie al business plan di Samsung sarà protagonista di un centinaio di aperture in Cina e a Hong Kong, per un giro d’affari che mira ai 260 milioni di dollari entro il 2020. Colombo era già presente in Corea e si era fatto notare per il buon riscontro ottenuto dai suoi prodotti in quel mercato, così è stato contattato da diversi gruppi coreani e Samsung. Park l’ha spuntata per l’interessante business plan proposto al marchio, che si ispira ai poli del lusso francese come LVMH e Hermès, che prevede l’espansione globale a partire da Oriente (Cina e Corea) e per l’ingente capitale messo a disposizione. La strategia delle conglomerate coreane è sempre la stessa: monitorare il mercato, individuare e acquisire i brand di interesse, per lanciarli poi nei mercati asiatici, in cui sono molto forto e radicati, tramite l’apertura in serie di negozi monomarca. L’obiettivo è investire direttamente in marchi eccellenti, mantenendone artigianalità ed esclusività, anziché comprare da terzisti. “Abbiamo sempre dossier aperti”, aveva confidato tempo fa Park al Sole 24 Ore, rivelando il costante impegno rivolto alla crescita delle conglomerate. Non si può dire che non siano stati di parola… è di pochi giorni fa, infatti, la notizia dell’acquisizione, da parte loro, dell’italiana Zanotti. Come Samsung anche E.Land si sta facendo conoscere nel mondo della moda italiana: nel 2010 ha acquisito il gruppo calzaturiero Lario, che gestisce anche il brand Sutor Mantellassi e Lorenzo Banfi. Poi ha acquisito Mandarina Duck, brand di valigeria e pelletteria acquistato al 100% con un aumento di capitale da 27 milioni di euro. Il 30 dicembre 2011, infine, è stato il turno del brand di pelletteria Coccinelle. Non male per una realtà nata a Seoul 30 anni fa dal coreano Park Song Soo come piccolo negozio di abbigliamento di 6 mq e che oggi comprende nella sua orbita grandi magazzini, ristoranti e moda, soprattutto made in Italy. Per non parlare di LG che, con la sua divisione LG Fashion, si è affacciato sulla moda made in Italy nel novembre 2011 con l’acquisizione del marchio Allegri, specializzato in capispalla, ma che si era già fatto strada Oltralpe entrando in possesso nel 2009 del brand di abbigliamento outdoor Lafuma e dell’inglese Hunters, quello dei celebri stivali in gomma, nel febbraio 2010. “LG Fashion – osserva Gian Maria Argentini, DG di Allegri – è una multinazionale da più di un miliardo di euro di fatturato, ha quindi dimensioni molto rilevanti, soprattutto rispetto al nostro tessuto della piccola e media impresa.” Ma cos’è la moda made in Italy per i coreani? “È un settore che può dare risultati economici interessanti”, ci risponde Argentini. “Ci riconoscono la capacità di fare prodotto, difficilmente imitabile. I coreani da noi cercano l’intera filiera produttiva, quindi l’abbigliamento ma anche il tessile. Se sono alla ricerca di tessuti pregiati lanieri sanno, poiché studiano la nostra struttura produttiva, che devono rivolgersi al distretto di Biella.” Le conglomerate coreane, infatti, non hanno solo marchi acquisiti all’estero, ma anche marchi propri, per produrre i cui capi utilizzano spesso le materie prime italiane alle quali riconoscono l’alta qualità, soprattutto nelle fibre naturali.
INCONTRI RAVVICINATI
Come avvengono i primi contatti tra le conglomerate coerane e le aziende italiane? Innanzitutto, sembra proprio che i coreani siano dei grandi osservatori, tengono d’occhio i brand presenti sul mercato e la loro evoluzione. Essendo essenzialmente dei distributori, non sono interessati ai brand emergenti e giovani, ma a marchi consolidati che possano garantire storia, tradizione e qualità. Prediligono, insomma, la “capacità di fare” alle mode. Una volta scelto il Paese target per gli investimenti entrano in contatto con le aziende tramite advisors. Per farsi notare è dunque importante mettere in atto strategie di marketing mirate. È il caso di Allegri: “lavorando bene sul nostro marchio in termini di marketing – ci conferma Argentini – ne abbiamo incrementato la visibilità soprattutto in due occasioni importanti per farsi conoscere all’estero: a Pitti Immagine e sul mercato americano, dove ci siamo fatti notare ottenendo ottimi risultati negli anni di crisi del 2009-2010.” La strategia di marketing deve però essere supportata da prodotti di qualità. “Con i coreani di LG Fashion eravamo già in contatto in precedenza, perché da noi acquistavano prodotti per i loro negozi (ne hanno più di mille a gestione propria), avevano quindi già testato i nostri prodotti e apprezzato la loro funzionalità”.
INTERESSI COMUNI E RISPETTO DEL BRAND
I coreani vogliono brand che rispondano a caratteristiche di qualità, forza ed esperienza. Seducono chi deve vendere proponendo e garantendo effettivamente lo sviluppo del brand all’estero. “I coreani non snaturano il marchio acquisito – ci spiega Argentini – ma ne preservano il DNA che promuovono fuori dall’Italia, dove senza un supporto adeguato sarebbe complicato affermarsi. Noi abbiamo accettato di cedere il marchio Allegri a LG proprio per le strategie molto chiare e condivise che ci hanno proposto per far crescere il marchio. Ci hanno convinto anche le loro capacità manageriali e la loro intenzione di valorizzare il nostro marchio esportando all’estero ciò che siamo già in grado di fare in Italia. A noi viene data così la possibilità di utilizzare la grande struttura distributiva di LG in Corea e Cina, per introdurre il marchio Allegri con un retail diretto anziché con strutture multimarca, con le quali è più difficile relazionarsi a distanza”.
COME AVVIENE L’ACQUISIZIONE
Nelle acquisizioni i coreani seguono il percorso classico degli m&a: propongono come piano strategico di sviluppo il “distress”, che minimizza l’esborso iniziale in vista di una crescita futura. In favore dei coreani ha agito lo stato di crisi dell’economia italiana negli ultimi anni, che ha portato molte aziende storiche a registrare una flessione nei fatturati, rendendole più propense a ingerenze estere. Le conglomerate subentrano come proprietà nel brand acquisito, ma in genere mantengono nel management gli italiani venditori, per preservarne il valore e l’immagine del marchio made in Italy.