è un timido segnale ma estremamente significativo: nei primi tre mesi del 2010 il fatturato complessivo del tessile-moda ha registrato una sostanziale stabilità rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno, evidenziando un calo dello 0,2%. Ma dopo una serie di trimestre chiusi con pesanti segni negativi è proprio il tessile a mostrare un'inversione di tendenza con una crescita del fatturato del 4,7%. Di contro, il vestiario ha registrato una flessione del 3,5%. Sono questi i dati emersi da una rilevazione condotta dal Centro Studi Smi che ha visto la partecipazione di oltre 130 imprese operanti in tutti gli stadi della filiera.
Dopo mesi di profonda recessione per l'industria italiana, quindi, sembra farsi strada un cauto ritorno alla normalità. Il tessile, infatti, rappresentando un settore a monte della filiera, è la colonnina di mercurio che anticipa le variazioni sia positive sia negative. La crisi è stata come un forte terremoto globale innescato dalla cattiva finanza americana – ha sottolineato il presidente di Smi, Michele Tronconi -, molti dati ci dicono che il peggio è alle spalle ma le scosse di assestamento continuano e fanno paura; l'incertezza rimane pervasiva e l'andamento dei mercati assume un andamento a strappi, tipo stop and go. Si scontano, per esempio, tutte le difficoltà della ricostituzione delle scorte, in un momento, per altro, dove la domanda asiatica è già ripartita rendendo scarse e costose molte materie prime, come nel caso della lana, della seta e del cotone.
Nonostante la ripresa globale stia accelerando grazie alla spinta data dal commercio internazionale, il fatturato estero delle imprese a campione resta in territorio negativo, con una contrazione complessiva del 3,5% su cui grava, in particolare, il calo del valle (ossia l'abbigliamento-moda) pari al 4,3%. Molto più cauta invece la flessione del tessile, che ha arrestato la caduta al -0,9%. E le previsioni per i prossimi mesi del 2010 si tingono di un certo ottimismo: gli al primo trimestre si evidenzia una crescita ordini in portafoglio, tra Italia ed estero, del 3,2%.