In anteprima il rapporto Pambianco sui primi 23 Gruppi italiani. II 2009 un anno da dimenticare: si salvano solo Calzedonia, Coin-Oviesse, Gucci e Tod's
Ha comprato champagne Dom Pérignon, vestiti Dior couture, gioielli Tiffany ed è tornato a frequentare i department store americani. Ma ha in programma anche l'acquisto di un paio di mocassini Tod's e di una borsa Prada. Eccolo di ritorno il consumatore di beni di lusso dopo un biennio di digiuno. In questo inizio d'anno ha fatto schizzare verso l'alto i conti (e i valori in Borsa) di colossi come Lvmh e Hermès, i primi ad annunciare i dati trimestrali. «Non bisogna però farsi troppe illusioni», sostiene Carlo Pambianco, tra i più noti consulenti dei luxury group italiani. Che aggiunge: «La crescita dei ricavi dei leader nazionali si spingerà al massimo fino al 5-6%» . Più pessimista è, invece, la previsione di questi giorni firmata dagli esperti di Bain & co per conto della Fondazione Altagamma: «a livello mondiale il fatturato di moda, gioielli, orologi e profumi si espanderà del 4%. La crescita delle vendite nei flagship sarà forte nei primi sei mesi (+15-20%) ma sarà seguita da un rallentamento nella seconda metà dell'anno».
Su un aspetto gli esperti sono concordi: bisognerà aspettare la fine del 2011 per parlare di vera ripresa dell'industria della moda e di ritorno degli affari ai livelli pre-crisi. Già, perché in un biennio il business mondiale del lusso ha lasciato sul tappeto circa 17 miliardi scendendo ai 153 stimati a fine 2009. Adesso si tratta di riguadagnare il terreno perduto. Il miglior campo per indagare le prospettive del settore è l'élite dei primi 23 gruppi italiani per fatturato, da Luxottica a Versace, da Gucci a Zegna, Tod's, Armani, Diesel, Dolce & Gabbana e Bulgari. Un campione che vale 24,9 miliardi di ricavi, circa il 15% della fashion industry mondiale.
Il cambio euro-dollaro alle stelle, l'effetto mutui subprime sugli Stati Uniti e il freno dei consumi hanno colpito anche i big nazionali. Ma i danni sono stati contenuti. I fatturati delle grandi griffe nel 2009 sono scesi in media del 4%, la metà della contrazione del fashion business planetario. «Tutti i leader sono esposti per il 20% dei ricavi sul mercato Usa, quello che ha sofferto di più», spiega Pambianco.
In queste pagine il Mondo ha presentato in anteprima la classifica dei gruppi top performer in base alla crescita del giro d'affari a cambi correnti, elaborata dalla Pambianco Strategie di Impresa, il principale osservatorio nazionale del settore. è il punto di partenza anche per guardare ai prossimi mesi. Solo cinque gruppi su 23 non hanno il segno meno davanti ai ricavi di fine anno. Lo sprint più secco l'hanno realizzato Calzedonia con un +13,3% e Coin-Oviesse (+9,5%). Tra le griffe, le sole a esibire il segno più sono state Gucci (+2,7%) e Tod's (+0,8%). «Ha battuto il trend del mercato solo chi dispone di un marchio forte, conta su un ampio network di negozi monomarca e non ha avuto paura di investire malgrado la tempesta sui consumi», sostiene Pambianco. Così la Tod's di Diego Della Valle ha fatto meglio attraverso la catena diretta di boutique (+4,1% i ricavi) che nei negozi multimarca (-2,2%). La buona presenza in Asia (+7,5% le vendite) ha poi consentito al gruppo di compensare i cali negli Usa e in Europa (-21,7% e -6,4%). C'è poi la pattuglia di chi si è comportato in linea con il mercato, dalla Diesel di Renzo Rosso (-3,5%), alla Geox (-3,1%) di Mario Moretti Polegato, che ha vissuto i venti di crisi come un'opportunità: ha acquistato la Diadora e ha aperto 140 punti vendita.
Malgrado l'erosione dei fatturati, Luxottica, Prada e Armani ( -6%) sono riusciti a mantenere una buona redditività. «Alcuni imprenditori hanno reagito subito ai primi segnali di crisi, tagliando costi, innovando il prodotto, aprendo altri negozi», aggiunge il consulente. Patrizio Bertelli è tra questi. L'ebitda è, infatti, passato dal 17,1% al 18,6% malgrado la frenata dei ricavi (-5,3%). Anche qui, oltre ai tagli, hanno contribuito i negozi diretti (+14% i ricavi, 35 nuove aperture) che ormai pesano per il 70% delle vendite e hanno una buona presenza nel Far East. Secondo gli strategist di Bain & co, la locomotiva 2010 sarà proprio la Cina, dove il lusso crescerà del 15%, ma la ripresina non tarderà negli Usa (+4%), mentre l'Europa sarà più lenta (+3%). Per recuperare le posizioni c'è parecchio cammino da fare. «Soprattutto per chi ha tardato a modificare la strategia per adattarsi al nuovo contesto», precisa Pambianco. è il caso di Dolce & Gabbana (-14,6%) che ha impresso la sterzata solo a metà anno scorso, razionalizzando i costi per abbassare del 15% i listini. Miroglio e Zegna hanno, invece, scontato la guerra dei prezzi verso il ribasso nel settore tessile. Più chance di approfittare del nuovo trend di crescita, spiegano gli analisti, ha invece Bulgari i cui ricavi dovrebbero tornare a crescere: +4-6% trainato dal rinnovato interesse per orologi e gioielli. «Insomma, i campioni italiani seguiranno il vento di crescita», conclude Pambianco, «anche se questa crisi ha anche messo in ginocchio diversi gruppi, una volta in testa alle classifiche». Si tratta di Mariella Burani fg, It Holding, Christian Lacroix, finiti in crisi. La loro sfida oggi è passare sotto nuove insegne per ricominciare a correre.
Estratto da Il Mondo del 23-4-10, a cura di Pambianconews