Nessuno ne vuole parlare, ma tutti le fanno. Le frontiere dei prezzi dopo l'epoca degli outlet
I prezzi, che mistero. Cercare di capirne la logica è diventata un'operazione impossibile, una ricerca della quale sfuggono i confini tra boutique, outlet, svendite, offerte speciali, pre-svendite.
Quanto costerà oggi e qui, nella scintillante boutique del quadrilatero a Milano, o tra via Condotti e via Borgognona a Roma, la giacca, firmatissima che ha fatto bella mostra di sè su tutti i settimanali e mensili di moda? Ipotesi plausibile: 1.800 euro. Ma alla vendita speciale per clienti affezionati si spende subito il 30-40% meno. E mentre fino allo scorso anno si trattava di riti privatissimi, con richiesta di documenti personali all'ingresso, adesso sull'invito si legge: potete portare due persone. Ottimo, con effetto ressa assicurato.
Il prezzo è un feticcio, insomma. Contribuisce al fulgore del marchio ed è spesso più eloquente di una campagna pubblicitaria, irradiando esclusività e un implicito carattere di censo. Ma è anche l'ipotesi di un valore che nella realtà e in modo sotterraneo può essere molto ridotto. E' quello che succede negli outlet, diventati uno dei principali canali di vendita. Tanto che McArthurGlen, in Italia il primo gruppo del settore, anche in un annus horribilis come questo può annunciare di aver avuto l'8% in più di visitatori, arrivando a 12 milioni e mezzo, e il 6% in più di fatturato, salendo a 546 milioni di euro.
Certo, la quantità di merce venduta deve essere esorbitante per reggere cifre simili. Valga un esempio per tutti, quello del pioniere di genere, il Foxtown di Mendrisio: la scorsa settimana si teneva una svendita speciale di borsette Fendi, prezzo minimo 60 euro, massimo 300. Mentre due grandi carrelli erano colmi di cappotti di Jil Sanders, sofisticato costosissimo marchio scontato dell'8o%. C'e chi si è impossessato di un paltò spendendo 75 euro. E non conta che fossero di stagioni passate, quanto la sorprendente riduzione ai minimi termini dello scontrino.
«Sono politiche commerciali delle quali le aziende non parlano volentieri», commenta Carlo Pambianco, che con la sua società di consulenza assiste gli imprenditori della moda e del lusso nell'impostazione delle loro strategie di sviluppo. Nella sua ultima ricerca sulla struttura dei prezzi, ha intervistato 33 aziende di target basso, medio e alto. Da Patrizia Pepe a Dolce & Gabbana, da Pinko a Original Marines. Poche hanno parlato di un'esplicita riduzione dei prezzi: Damiani, Missoni che avendo un mercato importante negli Usa e in Giappone ha cercato di reagire così alla grande ondata di crisi, e Moreschi, che è un grande calzaturiero. Le altre si sono organizzate inserendo qualche uscita flash e aumentando soprattutto gli articoli della fascia cosiddetta entry price dando così la possibilità di comprare a prezzi più ridotti. «Ma un fattore di riduzione indiretta dei prezzi di vendita – spiega Pambianco – sono stati i saldi, che hanno registrato sconti crescenti e tempi più lunghi, cominciando prima del solito e finendo dopo». Chi ne ha sofferto di più sono state le griffe e i grandi marchi, perchè erano i più sbilanciati. Ma quale sarà il futuro dopo l'outlet?
Estratto da: CorrierEconomia del 7 dicembre 2009, a cura di Pambianconews