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Fin qui le imprese del sistema moda hanno tenuto. I problemi si vedranno l'anno prossimo. Spaventa la tenuta della Russia, Paese dove la moda italiana solo nei primi sette mesi di quest'anno ha esportato per oltre 1,4 miliardi di euro. E che, per il solo abbigliamento, rappresenta l'8% del nostro export. Ma preoccupa anche la volatilità dei cambi, «fonte di incertezza fortissima, se pensiamo che per esempio lo yen, solo in ottobre, è aumentato del 30% rispetto all'euro. Difficile, in queste condizioni, fare i listini o programmare investimenti», dice Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, che ieri, in occasione del convegno organizzato da Pambianco Strategie di Impresa con Intesa Sanpaolo ha presentato un'analisi del contesto economico generale.
Che la situazione sia «difficilissima», come l'ha definita Gaetano Miccichè, responsabile dell'investment banking di Intesa Sanpaolo, è ormai chiaro, ma «le prospettive a medio-lungo termine sono positive», sostiene Mario Boselli, presidente della Camera della moda, «il problema è resistere».
Una base da cui ripartire è proprio l'industria del tessile abbigliamento, «spesso trattata come qualcosa che non si voleva più, ma che nel 2007 ha generato un saldo commerciale di 10,1 miliardi di euro, cresciuto ancora del 5,6% nei primi sette mesi di quest'anno», sottolinea Michele Tronconi, presidente designato di Smi. E aggiunge: «Il valore aggiunto prodotto dal sistema moda nel 2007 è stato di 18,5 miliardi (contro 13,5 miliardi del settore mezzi di trasporto), con 513mila addetti contro i 285mila dei mezzi di trasporto)».
Visto che in Italia, spiega De Felice, i consumi del settore moda sono già scesi del 4,4% nel primo semestre dell'anno, che sono in calo negli Stati Uniti e in Giappone, il rischio di una frenata della crescita in Russia (sono previsti tre punti in meno) rappresenta quello che alcuni operatori hanno definito ieri «un vero disastro». C'è di buono che le aziende del settore hanno alle spalle una profonda ristrutturazione e hanno aumentato le loro quote sui mercati internazionali.
L'importante è non tirare i remi in barca. Ma già si comincia a investire meno. Da un sondaggio realizzato da Pambianco su un campione di 40 aziende emerge la tendenza a ridurre un po' il numero di clienti per aprire negozi propri (ma con qualche rallentamento), a rinviare ogni ipotesi di acquisizioni (non è il momento, dicono). In frenata anche gli investimenti in comunicazione (la spesa dovrebbe calare dal 6,9 al 5,9% del fatturato). «L'industria del lusso – ha detto Michele Norsa, a.d. di Ferragamo – forse deve fare un esame di coscienza e riposizionarsi su livelli di costi più bassi».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 7/11/08 a cura di Pambianconews