La moda è un sistema ormai vorticoso terribilmente accelerato. Ogni giorno devi rilanciare, spingere sull'acceleratore. Si spiega così la convergenza fra architettura, design e moda, con trasversalità continue, echi, rimandi che impongono ai brand, soprattutto monomarca, di cambiare in continuazione affidandosi ad architetti o designer di grido.«La corsa all'architetto più trendy,- dice Mario Bellini, designer e architetto milanese riconosciuto nel mondo -, riporta in auge il mecenatismo: le griffe giocano al ruolo di mecenate rinascimentale, del grande principe che vuole il bello per il bello. Sfavorendo la fidelizzazione a una linea».
Dopo gli esperimenti di firme come Matteo Thun, pioniere dei monomarca nelle felici interpretazioni per Hugo Boss, Porsche Design e Missoni Hotels, anche nomi più di nicchia si stanno muovendo in ambito internazionale. è il caso dello studio Rocchi, Mengalli e Nicolis di Verona, che ha disegnato il mono marca Franklin and Marshall in Corso di Porta Ticinese a Milano, ma anche i 16 outlet Dutch tra Stoccarda e Siviglia. «La griffe si appoggia sempre più ad uno studio di architettura esterno, ma guai a scambiare i ruoli», sorride Roberto Rocchi, che avendo terminato la ristrutturazione dello studio sulla Fifth Avenue di Frank Ferrante, avvocato newyorchese di Diesel, Cavalli e Paciotti, è in viaggio per Bucarest, dove sta realizzando Forza Rossa, un caffè sopra il punto vendita Ferrari. «L'architetto interpreta la cultura del brand, ovvero la creazione di un'immagine coerente a quella offerta e imposta dalla griffe, che soprattutto se è di alto livello, se non usa criteri di concorrenza di prezzi come Zara o H&M, punta sull'allestimento per trasferire conoscenza».
«Per l'haute couture ieri era sufficiente la parola qualità, oggi diventa cruciale l'eccellenza. Figuriamoci nel monomarca», sorride Ivo Germano, docente di processi culturali all'Università del Molise-Campobasso e fra i più brillanti giovani studiosi d'ibridazione dei segni. «Oggi non bastano le linee per fare la firma, occorre l'emozione, la sigla emozionale. In questo senso il ricorso all'archistar permette non di capire il senso degli oggetti, ma quali oggetti sono dotati di un senso, che va al di là del sistema della moda».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 17/06/08, a cura di Pambianconews