I dati del Wto assegnano all'Italia il sesto posto mondiale nell'export di beni con una quota al 3,5% e in crescita. Più inosservati invece sono alcuni spostamenti sotto la superficie, che mettono i mercati emergenti al primo posto per le imprese della Penisola.
Nel 2007, è vero, la Cina pesa ancora solo un quarto degli Stati Uniti per le vendite del «made in Italy» (6,3 miliardi contro 24,3, secondo l'Istat). Ma Cina, Russia e Paesi dell'Opec contano già più della prima e seconda economia del mondo messe assieme, Stati Uniti e Giappone: nel 2007 le imprese italiane fatturano 33,5 miliardi nelle aree che Luigi Abete di Bnl definisce del «Roc» (Russia, Medio Oriente e Cina), contro i 28,6 in Usa e Giappone.
è la prima volta che accade: non più solo i ritmi di crescita, ormai anche i valori assoluti fanno dei nuovi mercati una priorità. Francesco Trapani, amministratore delegato di Bulgari, nota che gli emergenti stanno compensando per il suo gruppo la debole crescita negli States e la frenata in Italia: «Nell'area cinese viaggiamo a ritmi da raddoppio e la Russia ci dà grandi soddisfazioni». Ma un bemolle c'è: Trapani sa che i nuovi protagonisti da soli non garantiscono gli obiettivi di crescita globale di Bulgari: «Giappone, Italia e Stati Uniti restano fondamentali».
Viene anche da imprese come queste l'accelerazione del 21% del «made in Italy» in Russia nel primo trimestre 2008 su un anno prima, del 24% nell'area Opec o del 10% verso la Cina. Questi numeri rischiano però di offuscare un'altra storia: perché l'Italia sarà sì stagnante, l'America sarà in recessione e l'euro sarà pure «super». Ma il made in Italy negli Stati Uniti continua a correre: sempre secondo l'Istat, è cresciuto da 20,8 del 2006 a 24,3 miliardi nel 2007 e del 4,4% nell'«orribile» primo trimestre 2008. Natuzzi, che pure ha chiuso il 2007 in rosso, con i suoi divani ha appena fatto il pieno di interesse e ordini alla fiera di Highpoint in North Carolina.
Estratto da Corriere della Sera del 29/04/08 a cura di Pambianconews