Per Aeffe l'incontro con il listino è fissato per il 24 luglio, giorno che segnerà il debutto in Piazza Affari della casa di moda che possiede i marchi Alberta Ferretti, Moschino e Pollini (275 milioni di euro di ricavi consolidati). S'ingrossano, dunque, le fila di brand del made in Italy in Borsa, dove sono attesi da qui al prossimo anno e mezzo società di taglia e profilo assai diversi tra di loro, da Piquadro (35 milioni di fatturato) a Ferragamo (631 milioni), fino a Prada (1,4 miliardi di euro). Questo, almeno, se ci si ferma ai nomi delle società che hanno esplicitamente manifestato l'intenzione di quotarsi. Ma l'anno prossimo, per esempio, si saprà qualcosa di più anche delle intenzioni di un gruppo come Versace.
C'è la Borsa e ci sono i fondi di private equity, molto attivi sul mercato italiano delle griffe come dimostrano le recentissime operazioni di Permira su Valentino Fashion Group e di Jh Partners su La Perla. E, poi, voci continue. Come quella, ricorrente, che interessa il futuro dell'azienda di Giorgio Armani o di Roberto Cavalli.
La cosa chiara è che tra le società della moda italiane si è tornati a respirare aria di finanza. Un periodo che fa venire in mente gli anni '99-2000 la cui cessione-simbolo resta Fendi (un price earning stimato in circa 55). «Tutte le società di cui si discute hanno ragioni che stanno alla base delle loro scelte, dice Cristiana Ruella (nella foto), direttore generale di Dolce & Gabbana, ma è vero che questo è un momento in cui si parla molto di finanza, è come una moda nella moda. Per quanto riguarda Dolce & Gabbana non c'è niente di questo genere in vista: non abbiamo bisogno di mezzi finanziari, nè problemi di successione o di tipo familiare».
Estratto da Corriere della Sera del 10/07/07 a cura di Pambianconews