«Quando, nel 1993, rilevai C.P. Company, il 90% dei ricavi veniva dal mercato italiano. Mi ricordo che per i primi anni non dormii mai per tre notti di fila nello stesso letto. Oggi esportiamo il 70% della produzione. Per molti anni è stata questa la mia filosofia: inventare tessuti e prodotti che non c'erano e poi andare a cercare un mercato per venderli. Ho avuto ragione: a distanza di 14 anni siamo ancora qui e addirittura cresciamo. E proprio perché adesso va tutto bene, sto pensando ad alcuni importanti cambiamenti».
A parlare è Carlo Rivetti (nella foto), punto di riferimento del tessile-moda italiano. La sua azienda, che oggi si chiama Sportswear Company (57 milioni di fatturato nel 2006 con i marchi Stone Island e C.P. Company), ha puntato da sempre sulla ricerca e lui è stato appena eletto vicepresidente di Smi-Ati con delega alla promozione all'estero.
Ieri, dopo l'assemblea della federazione ha raccontato la sua esperienza per dimostrare come si possa sopravvivere in un mondo globalizzato. «Il primo ingrediente è la passione per il prodotto. Quando, nel periodo 2003-2005, i fatturati scendevano, è questo che ci ha fatto andare avanti, spingendoci a guardare in ogni direzione per individuare le aree dove potevamo migliorare, dal sistema informatico, ai nuovi mercati, dal servizio ai clienti al marketing. Ma tutto parte dalla consapevolezza del proprio valore».
«Siamo fuori dal tunnel, è vero. Ma non torneranno i tempi in cui si davano per scontati i margini di redditività e i fatturati aggiunge Roberto Cenni, presidente della pratese Go-Fin, che ha scelto la strada dell'integrazione a valle. Dovremo stare sempre all'erta, non potremo mai più fare gli imprenditori grassottelli che si godono il loro successo. Bisogna riconquistare il mercato ogni giorno».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 29/06/07 a cura di Pambianconews