Oreficeria e gioielleria italiana frenate dai controlli preventivi disposti da molti Paesi dell'Unione europea, semi-paralizzate dalla mancanza di reciprocità (asimmetria dei dazi) nell'area Ocse e praticamente bloccate da elevati dazi, autorizzazioni e licenze disposte dai Paesi non Ocse. «A parità di condizioni, dicono in Federorafi, l'associazone dei produttori, cioè con dazi e burocrazia allineati, l'industria italiana resterebbe vincente».
Difatti oggi, pur mantenendo la leadership mondiale quanto a quota di mercato, intorno al 17%, l'Italia del settore orafo-gioielliero vive, fascia del lusso a parte, una crisi profonda fatta di riduzione del business e dell'export e cassa integrazione. L'altra faccia della medaglia è quella di alcune imprese del lusso accessibile che hanno cambiato strategia, puntando su marchi riconoscibili, sui brand del fashion, su marketing e distribuzione, e che ora iniziano a cogliere i primi frutti.
Nel 2006 il business italiano di oreficeria e gioielleria si è attestato su un giro d'affari di circa 6,5 miliardi (-6,4%o), di cui 4,4 miliardi all'export (+9,7%). I dati però vanno depurati dal boom del prezzo dell'oro che dall'anno scorso è balzato da 500 a oltre 680 dollari per oncia. Infatti la quantità di oro trasformata si è contratta da 2,63 milioni a 2,44.
Il rammarico di Federorafi però è che i dazi e le barriere non tariffarie esistenti precludono l'accesso ai prodotti italiani ed europei al 60% dei consumatori mondiali. Secondo i produttori, caso unico nella Ue, il made in Italy non può beneficiare della libera circolazione poiché Paesi come Portogallo, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Olanda e Repubblica Ceca impongono controlli preventivi sui prodotti con l'apposizione di marchi aggiuntivi anche quando i prodotti sono stati fabbricati legalmente in uno Stato membro.
Per Federorafi questo costituisce una violazione dell'articolo 28 del Trattato Ue sul commercio intra-comunitario. Tuttavia un esposto alla Commissione Ue contro Francia, Gran Bretagna e Irlanda e alcuni tentativi per una direttiva comunitaria liberalizzatrice sono caduti nel vuoto. Ma non è tutto: ci sono altri evidenti squilibri nell'Ocse e fuori dall'area Ocse, con dazi pagati dal made in Ue fino a 14 volte quelli sostenuti da merci extra-Ue. Per esempio, oreficeria e gioielleria italiana esportate in Cina, India, Russia, Thailandia e Usa pagano dazi compresi tra il 5,8 e il 35%. Viceversa, l'import di questi Paesi verso la Ue sostengono un dazio di solo il 2,5%.
I produttori puntano all'eliminazione totale delle tariffe su base reciproca nei Paesi Ocse e l'eliminazione dei picchi tariffari e delle barriere non tariffarie nei Paesi non Ocse.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 14/05/07 a cura di Pambianconews