«Finché avrà l'industria e gli artigiani, la Milano del design continuerà a dire la sua in tutto il mondo. Ma è anche vero che non si è ancora consolidata una nuova classe di creativi in grado di ereditare il ruolo che hanno interpretato i grandi maestri del design italiano». Ernesto Gismondi, a capo di Artemide, nome di riferimento in Italia nella produzione di lampade e sistemi di illuminazione, sottolinea l'importanza dell'industria italiana del design, ma riconosce che manca una nuova generazione nostrana di creativi .
Stenta ad emergere una nuova creatività nel design milanese?
Il design italiano esiste e continuerà ad esistere finché ci sarà l'industria che lo produce, supportata da una serie di piccole aziende artigianali specializzate. Il design italiano è tale anche se a progettarlo sono in questo momento, forse, in maggioranza stranieri.
E' innegabile però che dopo i grandi vecchi maestri, da Magistretti a Sottsass, non si siano ancora imposti con forza nuovi nomi.
I maestri del design hanno reso grande Milano, ma hanno bloccato il mercato dei giovani.
Solo dei giovani italiani, però, visto che gli stranieri sono venuti e sono diventati anche famosi.
E' successo che gli inglesi che hanno delle buone scuole di design ma non hanno affatto industrie e neanche una filiera che possa mettere in pratica i loro progetti, sono venuti qui a farli realizzare. Un'altra ondata di creatività straniera è stata quella francese, ma direi che qui continuano a venire da tutte le parti del mondo.
E gli italiani? A Milano ci sono un sacco di scuole, ma non c'è una nuova generazione di designer. E' paradossale.
In azienda riceviamo ogni giorno tantissimi progetti da giovani italiani, ma ci propongono cose che non sono industrializzabili o sono ripetizioni di prodotti già visti. Dipende da molti fattori, non ultimo quello che le scuole milanesi del design non hanno laboratori attrezzati. Poco tempo fa sono stato al Royal College di Londra per proporgli di finanziare una ricerca, fatta dagli studenti, per trovare delle soluzioni su temi intorno alla luce a cui stiamo lavorando in azienda.
Insomma gli aspiranti designer italiani mancano di concretezza anche perché le scuole non sono attrezzate. Non hanno laboratori e sono troppo teoriche.
Al Politecnico stanno cominciano a metterne in piedi qualcuno. Ma non basta. Le aziende dovrebbero aprire maggiormente le porte ai giovani. Gli studenti, da parte loro, non dovrebbero ritenersi artisti, ma capire che il loro è un mestiere. E i vecchi maestri, che facciano un passo indietro.
Estratto da Affari & Finanza del 5/03/07 a cura di Pambianconews