Chi ha detto che il made in Italy è malato di nanismo? Da decenni, ossia sin dall'avvento dell'epoca d'oro del settore della moda italiana, quest'ultima dal punto di vista industriale è stata associata al concetto di piccola media industria. Peraltro, nel pieno rispetto della struttura portante dell'economia nazionale. Eppure, qualcosa è cambiato in maniera profonda, e là dove c'erano aziende familiari di dimensione poco più che artigianale, ora ci sono gruppi capaci di realizzare oltre mille miliardi (delle vecchie lire) all'anno.
Secondo una ricerca di Pambianco Strategie di Impresa sui bilanci dei primi cento gruppi della moda mondiali, emerge che in Italia ce ne sono almeno una decina che realizzano un fatturato annuale superiore a 1 miliardo di euro. I dati si riferiscono ai ricavi del 2005, anno in cui otto società avevano già varcato la soglia miliardaria.
Ma è probabile che nel 2006 anche gli ultimi due gruppi della top ten, Bulgari e Miroglio, abbiano migliorato. La classifica per dimensione è guidata da Luxottica, che veleggia ormai oltre 4 miliardi. Il gruppo di occhiali di Agordo alza la media dei 25 gruppi considerati da Pambianco, che hanno un fatturato di 925 milioni di euro. È circa la metà della media mondiale (1,8 miliardi), dove il made in Italy deve confrontarsi con colossi come Lvmh (13,9 miliardi di fatturato), Gap (13,2 miliardi) e Nike (11,1 miliardi).
Ma è comunque significativo che anche la media italiana si avvicini al miliardo. Un fenomeno che «è la conseguenza, spiega Carlo Pambianco, fondatore della casa di consulenza milanese, delle strategie di crescita interne delle società, ma anche della progressiva acquisizione delle linee di produzione delle proprie licenze». Insomma, la crisi che ha colpito il settore all'inizio del millennio, ha imposto una selezione e un consolidamento che ha trasformato un settore di nani in un (piccolo) squadrone di granattieri.
(Nella foto Leonardo Del vecchio, presidente di Luxottica).
Estratto da Finanza & Mercati del 22/12/06 a cura di Pambianconews