La sua è una storia americana da self-made woman. Ivana Omazic, nata a Zagabria 33 anni fa, arriva in Italia, a Perugia, «per sfuggire all'angosciosa situazione del mio paese» e per imparare l'italiano. Si trasferisce a Milano per studiare all'Istituto europeo di design, che la introduce prima da Romeo Gigli e poi nello staff creativo di Miu Miu e di Jil Sander. Lasciata l'Italia per un viaggio sabbatico, il curriculum di Ivana non passa inosservato alla Lvmh che la destina nel gruppo di Roberto Menichetti, allora designer di Celine. Era il 2005. Da due stagioni, Ivana Omazic è direttrice creativa di uno dei marchi francesi più sofisticati.
Vista la sua carriera, si sarebbe portati a credere che nella moda i talenti vengono fuori e la carriera è meritocratica.
Non voglio fare un discorso generico, ma per esperienza posso dire che raccomandazioni e favoritismi nel nostro mondo funzionano poco. È un mondo spietato, ma il turnover offre molte possibilità. Le qualità richieste sono l'equilibrio e il buon senso. Il designer è un professionista la cui creatività è al servizio dell'industria. Parlare delle cose commerciali sembra un sacrilegio, eppure non è così. Perché il designer non è un artista. Fare i creativi è un privilegio la cui responsabilità è anche non dimenticare tutte le persone che lavorano per fare un cappotto, una borsa o delle scarpe da sogno.
Come sono le donne per le quali disegna?
Sono sempre più impegnate sul lavoro e nel sociale e non hanno più paura di mostrare la loro femminilità con naturalezza. E poi non devono più apparire uomini per essere credibili.
Estratto da Panorama del 15/12/06 a cura di Pambianconews