Nel cuore del quartiere chic di Ginza, è costato tre anni di lavori e quasi 65 milioni di euro solo per il terreno, giovedì 2 novembre, alla inaugurazione della mega-boutique Gucci a Tokyo, il parterre aziendale era d'eccezione. C'era l'azionista François Henri Pinault, numero uno della Ppr, il colosso francese da 18 miliardi di euro che, insieme ad altre maison (da Bottega Veneta a Ysl), ha in pancia la preziosa azienda fiorentina. C'era l'amministratore delegato del Gruppo Gucci Robert Polet e c'erano Mark Lee e Rida Giannini, la coppia che ha in mano le redini di una delle più prestigiose griffe mondiali. Sotto la regia di Potel è a loro, il manager e la stilista, che da una Ppr sempre più decisa a puntare sul lusso viene chiesto di replicare il miracolo della storica coppia Domenico De Sole e Tom Ford, uscita nell'aprile del 2004 dopo aver trasformato una piccola impresa artigianale da 200 milioni di euro in un'icona miliardaria.
Nel 2002 era solo una giovane donna che disegnava borse. Tra il 2005 e il 2006 si è conquistata sul campo la moda donna e uomo. Oggi è direttore creativo unico della Gucci. Lei a che punto si sente?
Gli ultimi due anni sono stati davvero rocamboleschi. L'impegno è stato grande e continua a esserlo. Diciamo che è stato un buon inizio. Ma penso sia prematuro fare un bilancio.
Antidoti per la sopravvivenza, bravura a parte? Fare squadra con un manager di talento? O diventarlo?
Entrambe le cose. Formare una coppia affiatata con il management, ma anche ampliare la propria visione. Per esempio, io non mi limito a disegnare, devo saper organizzare: ho creato e gestisco un gruppo di quasi 50 persone, che non è fatto solo di designer ma anche di tecnici, per esempio per l'assistenza al prodotto. E poi, ci vuole un po' di sano fatalismo.
Il settore del lusso cresce a due cifre, ha margini interessanti e attira ogni giorno nuovi investitori. Le griffe europee resisteranno o sono in arrivo nuovi concorrenti magari dall'Asia?
La concorrenza è già aumentata da tempo: se negli anni Novanta si parlava di cinque marchi oggi, anche a seguito della politica di shopping di grandi gruppi come Ppr o Lvmh, le griffe che competono sul mercato si sono moltiplicate. Ma i colossi restano sempre quelli. Fatico a pensare che un giovane designer cinese tra dieci anni sbancherà Gucci o Louis Vuitton.
Lei ha la responsabilità creativa di un «giocattolo» che vale 2 miliardi di euro e influenza l'andamento in borsa della controllante Ppr. La spaventano più i giudizi dei buyer o quelli degli analisti?
Da brava stilista, continuo a preoccuparmi soprattutto dei buyer. Mi fanno capire se sono o no sulla strada giusta.
Estratto da Panorama del 17/11/06 a cura di Pambianconews