Cresce il fatturato (nell'abbigliamento e nella pelletteria e calzature, mentre il tessile è ancora in difficoltà) ma cala in modo drammatico la produzione. E negli ultimi cinque anni il 10% delle imprese ha cessato l'attività. È il risultato del processo di razionalizzazione dell'industria italiana della moda, che se da un lato prosegue nella strategia di delocalizzazione, dall'altro tende a portarsi sempre più nelle fasce alte di prodotto.
Con una crescita significativa dell'utilizzo di capitale umano qualificato: tra il 1997 e il 2005 gli operai sono diminuiti del 30%, dirigenti e tecnici sono aumentati del 38%. È questa, in estrema sintesi, la fotografia del settore moda presentata ieri da Gregorio De Felice, chief economist di Banca Intesa, in occasione del convegno su moda e lusso organizzato in collaborazione con Pambianco Strategie di Impresa.
Al di là di alcuni punti critici, è un'immagine positiva quella che emerge: l'industria è uscita da una prolungata fase di recessione, ci sono segnali di rafforzamento strutturale, le prospettive per il 2007 restano buone, sia sul mercato domestico sia soprattutto all'estero, e mentre l'Italia nel suo complesso ha subito nel 2005 una riduzione della quota di export sui mercati mondiali, abbigliamento e pelletteria hanno invece aumentato il loro peso.
L'ottimismo, secondo Mario Boselli, presidente della Camera della moda, si prolunga fino al 2008: «Il venir meno delle ultime quote temporanee sull'import dalla Cina, ha detto non ci farà rivivere i drammi del 2005» perché sta cambiando la competitività della Cina (in certe aree i costi sono in aumento) e la crescita dei consumi interni riduce un po' la pressione sull'export.
Al futuro e a come migliorare la competitività a livello globale guarda anche l'analisi presentata da Carlo Pambianco, che ha individuato tre priorità per le aziende italiane. La capacità di «focalizzarsi, soprattutto sulla valorizzazione del marchio»; la volontà di «stringere alleanze, cruciali per entrare in mercati lontani e complessi come Russia e Cina»; il ricorso alla finanza, intesa «sia come quotazione in Borsa sia come ricerca di un socio finanziario, per esempio trai fondi di private equity».
Alla presentazione delle ricerche è seguita una tavola rotonda cui hanno partecipato personaggi di spicco del mondo della moda e del lusso, tutti concordi sull'esigenza di «superare gli eccessi di individualismo» e di imparare a fare sistema, anche migliorando il rapporto di fiducia che deve legare banche e imprese, come del resto aveva sottolineato Gaetano Miccichè di Banca Intesa nell'introdurre il convegno, presentando il suo istituto come quello che punta a essere «la banca della moda».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 8/11/06 a cura di Pambianconews