Il settore tessile, moda e abbigliamento ha sempre anticipato lo sviluppo economico regionale. Le prime industrie italiane erano lombarde e tessili. Cresciute all'imbocco delle valli prealpine per sfruttarne l'energia idrica. E oggi? «Nel comparto tessile-moda le industrie sono poche in Italia e pochissime in Lombardia», commenta Carlo Pambianco, fondatore della omonima società di consulenza strategica specializzata nel settore moda, «con l'eccezione della seta a Como e del distretto delle calze fra Mantova e Brescia, il tessile & moda continua a dare molto alla Regione, ma soprattutto in termini di terziario avanzato».
Il posto della grande industria è stato preso dagli stilisti. Anche fisicamente. Il grande palazzo di via Borgonuovo della Armani era stato costruito dalla associazione degli industriali cotonieri. «Le imprese tessili fino agli anni '50 non vedevano il cliente finale: vendevano ai sarti o ai negozi di tessuti. Solo negli anni '50 si sviluppa l'industria delle confezioni, del prét à porter», commenta Pambianco, dal '77 numero uno dei consulenti aziendali del settore e prima ancora responsabile delle attività internazionali in Zegna dopo un esordio al Gft. «La gente smette di farsi fare gli abiti dai sarti e compra confezioni Facis o Lebole». Negli anni '70 la clientela dal capo confezionato vuole qualcosa di diverso, ma le aziende produttrici non sono in grado di rispondere a queste esigenze e chiamano «come consulenti degli strani personaggi che erano visti con un po' di sospetto dai manager: gli stilisti appunto», ricorda Pambianco. Questi dapprima forniscono disegni e cartamodelli e poi convincono le aziende a produrre linee con il loro nome: Armani e Valentino sono i primi.
Pambianco sottolinea come lo stilista, questa figura nuova e fino a poco tempo fa quasi esclusivamente milanese (e parigina), abbia rappresentato la risposta delle industrie tessili alle esigenze del consumatore. Nasce lo stilista grande firma e gli stilisti scelgono Milano per aprire le loro show room. Di qui passano i buyer internazionali, qui ci sono i fotografi, i giornali e i creativi nel settore pubblicità e marketing. Gli stilisti diventano delle star, alcuni controllano la produzione acquisendo le attività dalle industrie, «altri non riescono a fare bene i due mestieri di stilista e imprenditore e si fanno acquistare dalle imprese, come Ferré. E alcune aziende diventano delle griffe in proprio come Max Mara, Canali o Zegna», racconta Pambianco.
Oggi la produzione è realizzata in gran parte all'estero «ed è difficile dire quale quota di valore aggiunto in un prodotto moda è realizzata in Italia. Sicuramente la quota lombarda, anzi milanese, di questo valore aggiunto è molto alta», conclude Pambianco, «intorno alla moda si è sviluppato a Milano un distretto specializzatissimo e di qualità mondiale, un po' come il distretto finanziario della city londinese, fatto di consulenti legali, aziendali e fiscali, di creatività raffinate, di marketing e management ad alto livello che si è posto a disposizione anche di altri settori del made in Italy».
Estratto da Il Mondo del 22/09/06 a cura di Pambianconews