Marco Bortoletti, più che un capo azienda, è un tutor. La scomparsa improvvisa di Claudio Buziol nel gennaio del 2005, lo ha fatto ritrovare sul ponte di comando di un gruppo, la Replay di Asolo (Treviso), che oggi fattura 330 milioni di euro (con il 72% di esportazioni) e punta direttamente, entro i prossimi tre anni, a portare i ricavi a quota 500 milioni di euro. Innanzitutto attraverso lo sfondamento sui mercati del Far East del prodotto più noto della Replay: i jeans denim, un pantalone che per lavorazione e marketing è collocato nella fascia alta del settore dell'abbigliamento.
Com'è cambiato il mercato dei jeans?
La nostra fortuna è stata quella di anticipare i tempi con un'intuizione di Claudio Buziol: puntare tutto su un jeans sofisticato, non più di massa. Ci siamo spostati prima degli altri puntando sui dettagli estetici e su una serie di trattamenti. I jeans denim sono tinti e ricamati, uno per uno: poi vengono strappati, lavati e rilavati a mano.
Mi spieghi la vostra filiera produttiva.
È semplice: la maggor parte dei jeans, direi circa un 70% dei nostri prodotti, li realizziamo in Tunisia e in Romania. Poi arrivano in Italia per le rifiniture e i controlli. Parliamo di Paesi dove la manodopera costa dal 30 al 40% in meno rispetto all'Italia. Sono numeri importanti.
Quale crede che dovrà essere il fatturato della Replay nei prossimi anni?
Abbiamo un obiettivo preciso: superare la quota dei 500 milioni di euro. Entro i prossimi tre anni. Nel 2005 siamo cresciuti del 41%: ci basta mantenere questi ritmi e ce la possiamo fare.
Dove pensate di sfondare, come mercati?
Il nostro fatturato è ancora troppo concentrato in Europa, dove vendiamo il 95% dei prodotti. Quindi, non abbiamo ancora iniziato la campagna di attacco nel Far Fast. In Cina dobbiamo aspettare: un jeans come il nostro è considerato un prodotto di lusso, e quindi il suo turno arriverà. La scommessa più importante è il Giapponein quanto è un paese maturo per un abbigliamento come il nostro. Più difficile, invece, la partita in America. Gli Stati Uniti hanno enormi potenzialità, ma si tratta di un mercato estremamente competitivo e dove servono enormi investimenti per la pubblicità e per il marketing.
Estratto da Economy del 7/07/06 a cura di Pambianconews