Per Carlo Pambianco, presidente della Pambianco Strategie d'impresa, «il comparto maschile funziona perché tutti si sono spostati sullo sportswear, ne hanno capito l'importanza e le incursioni da parte di griffe classiche oggi sono diventate una regola». Una produzione quindi meno formale, perché « i giovani sono sempre quelli che guadagnano di meno, ma spendono di più».
Secondo Pambianco oggi è in difficoltà «chi ha voluto presidiare più mercati con troppe linee di abbigliamento. Ci stiamo allontanando da una crisi che ci ha bloccati dal 2003 ma a guadagnare sono soprattutto gli imprenditori che hanno puntato sul marchio». Il presidente della società di consulenza, forte di un'esperienza trentennale, dice in sostanza che alla moda serve soprattutto saper vendere, non solo saper produrre: «Si può riuscire a mantenere caratteristiche vincenti anche soltanto agendo sul riconoscimento del marchio. Guardiamoci intorno: chi vende molto è chi ha un profilo di un certo spessore, chi si fa vedere in giro per il mondo sia ricerca creativa. Non deve essere una politica temporanea, ma coordinata, dalla comunicazione alla distribuzione».
Pitti a Firenze e poi Moda Uomo a Milano mettono in moto 67 mila aziende che danno lavoro a più di mezzo milione di persone. Quello attuale non è un quadro esaltante, ma c'è una tenuta, specie di alcuni settori. Secondo le stime dell'associazione di categoria Smi-Ati, l'industria del tessile-abbigliamento nel 2005 ha fatturato oltre 40 miliardi di euro, con una tenuta sostanziale dell'export a 26,5 miliardi.
Siamo lontani dal dato, condizionato dalla crisi post 11 settembre, del 2002 (fatturato a quasi 46 miliardi, export a 28). Ma la miriade di aziende del tessile ha almeno tirato un sospiro di sollievo. Ora però sono le ditte che confezionano a essere sotto pressione, penalizzate dai forti incrementi delle importazioni di prodotti finiti.
Il commercio con l'estero tiene soprattutto perché i Paesi extra-Ue dimostrano di essere sempre più sensibili al fascino degli abiti italiani, specie da uomo. Da solo il comparto maschile ha recuperato l'1,4% rispetto ai dati dell'anno precedente. Sono i numeri migliori del sistema e questo lascia ben sperare in un bilancio positivo per Pitti, che in media attrae oltre 23 mila compratori (di cui 40% dall'estero) e 650 aziende espositrici su una superficie di 59 chilometri quadrati.
Una città della moda divisa in tre sezioni: classico, informale, avant-garde. «Due volte l'anno reinventiamo la manifestazione» dice l'amministratore delegato di Pitti Immagine, Raffaello Napoleone. «Ne è prova quest'anno Pitti Immagine Rooms, il nuovo evento dedicato al design di lusso. Siamo abituati a rischiare per attirare l'interesse. Una fiera che non fa innovazione non ha ragione di esistere».
Estratto da Economy del 23/06/06 a cura di Pambianconews