L'epoca d'oro delle licenze moda, collocata storicamente tra metà degli anni Ottanta e il decennio successivo, sembra apprestarsi a tornare, condizionando strategie e consulenze. Basta dare un'occhiata a quanto accaduto nelle prime settimane di maggio per rilevare una serie di accordi produttivo-commerciali che forniscono più di una traccia. E così si scopre che Valentino e Blumarine hanno siglato un accordo con l'Arnolfo di Cambio di Colle di Val d'Elsa per far produrre oggetti in cristallo griffati coi rispettivi brand, mentre la fiorentina Nomination ha strappato un accordo con l'americana Warner Bros per trasformare Batman e Superman in gioielli di acciaio e oro. Intanto, Swatch riesce a trascinare nel mondo delle lancette l'azienda di sportswear giapponese Asics, per conto della quale produrrà orologi sportivi e, infine, con un passo leggermente più tradizionale ma non troppo, Max Mara ha siglato una licenza praticamente sine die (fino al 2016) per la produzione e distribuzione di profumi con Selective Beauty. La voglia di marchio si riconosce anche nell'iniziativa di Italian Fashion che ha raggiunto un accordo addirittura con un nome dell'etere per lanciare magliette firmate Fiorucci per Radioitalia.
Sono esempi di intese un pò audaci, ma cui ha fatto da corollario (sempre nelle ultime settimane) un continuo rinnovo, prolungamento, ampliamento del parco di licenziatari, soprattutto per lo sbarco nei Paesi del Far East. Insomma, la strategia di brand extension attraverso le licenze «è tutt'altro che sepolta», spiega Carlo Pambianco, dell'omonima società di consulenza milanese. Sul tema, Pambianco interverrà al convegno The Rationalisation of Luxury New Business Models, New Strategies orgarizzato a Las Vegas dal Financial Times il 4-6 giugno. «C'è una tendenza al ritiro delle licenze che si erano moltiplicate fino a metà degli anni Novanta, spiega Pambianco, ma ci sono ambiti in cui, viceversa, si comincia a rivalutare questo tipo di accordi».
Ci sono segmenti, come l'abbigliamento e la pelletteria, dove stilisti e grandi brand hanno in effetti riacquisito il controllo diretto sul prodotto. Ma «in ambiti come profumeria e occhiali, tutti i maggiori brand sono in mano ad aziende specializzate, proprio per l'alto know how produttivo e la forte struttura distributiva specializzata». Un discorso a parte merita l'orologeria: anche per le griffe più brillanti della moda, è difficile competere con le alte complicazioni degli storici marchi svizzeri. Ecco perché nelle lancette «sono state soprattutto le seconde linee a venire concesse, come nel caso di Armani a Fossil, o di D&G a Binda».
C'è poi un ambito, finora rimasto inesplorato, che potrebbe fare da traino a una nuova epoca d'oro della brand extension: quello della gioielleria. «Alcuni grandi brand, prosegue Pambianco, hanno già fatto più di un passo nel settore attraverso contratti di licenza. Per esempio, tra gli italiani, Gucci e Diesel sono già sbarcati nel luccicante universo dei gioielli».
Nelle licenze l'Italia continua a fare la parte del leone: secondo le analisi Pambianco, su un campione di 988 marchi considerati nei diversi settori i licenziatari italiani si aggiudicano il 54% dei contratti. Con punte superiori al 70% per l'abbigliamento donna e le calzature. Una forza produttiva che rappresenta il vero filo conduttore tra l'attuale periodo e l'età dell'oro delle licenze anni Novanta.
Estratto da Finanza&Mercati del 27/05/05 a cura di Pambianconews