Bottega Veneta, etichetta di superlusso del gruppo Ppr che comprende tra gli altri Gucci e Yves Saint Laurent, ha chiuso il 2005 con un aumento del 79%, facendo così salire il fatturato a 157,7 milioni di euro. Sorprendente è che un prodotto così sofisticato e caro mantenga la stessa percentuale di crescita anche nel primo trimestre di quest'anno: +77%.
“L'intero Ppr cresce”, ha commentato il presidente e direttore generale François-Henri Pinault (nella foto), nel presentare gli ultimi dati. In particolare, nel settore del lusso tutti i nostri brand sono cresciuti, e in tutti i mercati». Ma più di tutto corre questa griffe su cui si era chiacchierato nel 2004, l'anno in cui Domenico De Sole e Tom Ford, la coppia stellare di Gucci Group, aveva lasciato l'azienda. Chi diceva che Pinault era intenzionato a vendere, chi ipotizzava che sarebbe stata spostata la produzione in qualche Paese a basso costo, chi riteneva probabile una brusca sterzata verso livelli più bassi e un target medio, invece delle vette altissime perseguite con serena ostinazione.
Oggi l'azienda conta su 700 persone e dà lavoro a 8 mila artigiani, dei quali il 70% nel vicentino. Non si raggiunge il 100% soltanto perché manca fisicamente il personale. Anche per questo Bottega sta affrontando il nuovo impegno di una scuola specializzata. E dopo aver tentato inutilmente di trovare un percorso comune con gli enti locali, ha deciso di procedere da sola, realizzandola e finanziandola interamente con i propri mezzi.
Nel 2005 sono stati inaugurati 18 negozi, portando così a 84 il conto generale. Quest'anno è prevista l'apertura di altri 10, a dimostrazione che Ppr è convinta del percorso intrapreso e mette a disposizione le risorse necessarie per attuarlo. «Abbiamo sempre goduto della fiducia dell'azionista, che anzi ci ha sollecitato a seguire questa strada di eccellenza, rigorosamente italiana», ha spiegato Patrizio Di Marco presidente e AD del marchio. Malgrado i costi? «Nel mondo del lusso c'è chi ha idee divergenti da noi e pensa che basti il logo a sostenere tutto. Per noi, invece, il “made in” è fondamentale. Si tratta di un valore italiano e, intervenendo sul miglioramento dell'efficienza interna, ha un costo accessibile per tutti. Se l'Italia è famosa per la sua artigianalità, non si capisce per quale motivo oggi si possa dire che non è importante».
Estratto da CorrierEconomia del 15/05/06 a cura di Pambianconews