Valenza Po, Arezzo e Vicenza sono l'anima di uno dei comparti più celebri del made in Italy di alta gamma: quello legato alle produzioni orafe. I tre distretti, infatti, si spartiscono il 70% del fatturato e i tre quarti degli addetti alla lavorazione e al taglio di gioielli in metallo. Un settore dove l'Italia è leader europeo, con una produzione che nel 2005 ha superato le 55 tonnellate: i principali concorrenti, Francia, Olanda, Svizzera e Germania, sono distanziati di parecchi lingotti. Il primato è anche nelle esportazioni: oltre il 60% della produzione italiana finisce ogni anno sui mercati esteri.
Con un export di quasi 6 miliardi di euro l'oreficeria italiana è al quarto posto tra le voci di attivo della bilancia dei pagamenti, dietro abbigliamento, arredo e alimentare. Nei confronti dei Paesi extraeuropei, l'Italia è seconda solo all'India, anche se negli ultimi anni Cina, Stati Uniti e Indonesia hanno incrementato le quote.
Il momento però non è dei più felici. Il 2006 si è aperto con un ulteriore ridimensionamento della produzione: tra il 6 e il 7% in meno rispetto al gennaio 2005. Certo, la flessione è più contenuta di quelle del recente passato, ma è anche vero che si tratta del quarto anno consecutivo di ripiegamento. «I dati non sono certo positivi» si legge in un rapporto appena stilato dalla Confartigianato di Valenza Po «però vanno comunque maneggiati con cura. In termini quantitativi, la produzione appare addirittura in lieve ripresa. Ma la pesante insicurezza della domanda interna, l'adeguamento tecnologico che ha coinvolto il settore e la globalizzazione dei mercati hanno contribuito ad abbattere pesantemente i margini di guadagno».
Per non parlare del prezzo dell'oro, bene rifugio per eccellenza, le cui quotazioni sono schizzate ai massimi degli ultimi 25 anni: sui 643 dollari a oncia il 27 aprile. Se finora la spinta al cambiamento della gestione aziendale è stata attenuata dal primato italiano della creatività, del design e dello stile è probabile che il ruolo di questi fattori sia destinato a diminuire in uno scenario di medio-lungo periodo.
Le soluzioni? Puntare sull'aggregazione tra imprese, su prodotti innovativi e «svecchiati», sulle nicchie di mercato più alte. E soprattutto: promuovere meglio l'oro italiano sui mercati esteri. Da questo punto di vista, qualche passo in avanti è già stato fatto: nel 2005 i tre distretti hanno avviato la procedura europea per ottenere un marchio comune: la scelta dovrebbe cadere, forse un pò banalmente, sul nome «Italian Gold».
Estratto da Economy del 5/05/06 a cura di Pambianconews