Ottimi risultati per le vendite del «made in Italy» negli Stati Uniti, in crescita del 5% rispetto a un anno fa, a 4,8 miliardi di dollari di fatturato totale. Per questa forza del «marchio» Italia o per la sua vocazione di uomo d'affari, Ronald Spogli, neo-ambasciatore americano a Roma, ha deciso di lanciare un'offensiva fra gli imprenditori del Paese.
Oggi Spogli, insieme al suo collega britannico Sir Ivor Roberts, incontrerà a Roma la giunta di Confindustria. Probabile che con i vertici dell'associazione degli imprenditori si parli della ridotta capacità dell'Italia di attrarre investimenti esteri e della crisi del settore manifatturiero. In realtà già in passato Spogli aveva richiamato l'attenzione dei suoi interlocutori italiani su una classifica stilata dalla Banca Mondiale: che sia realistico o meno, lì l'Italia risulta solo al 70esimo posto fra i Paesi in cui è più facile gestire un'attività economica. Dopo Namibia e Pakistan. Attento anche agli interessi delle imprese americane, Spogli lamenta la scarsa «trasparenza ed equità» negli appalti in Italia e le difficoltà create dagli eccessi della burocrazia.
Domani l'ambasciatore americano incontrerà molti imprenditori italiani del Nord-Est, oltre a Moretti Polegato, saranno all'appuntamento banchieri come Corrado Passera (Intesa) o Matteo Arpe (Capitalia), il presidente dei giovani di Confindustria Matteo Colaninno (Piaggio) e imprenditori del settore moda come Renzo Rosso. Con loro Spogli avrebbe intenzione di parlare delle potenzialità dell'apertura agli investitori americani, anche nel «venture capital», e della capacità di assorbimento del mercato americano. Per il «made in Italy», anche in una fase di relativa debolezza del dollaro che frena l'export dell'Europa, le porte restano aperte. Purché, beninteso, il Paese affronti i sacrifici necessari a riconquistare la competitività perduta.
Estratto da Corriere della Sera del 27/04/06 a cura di Pambianconews