Un mercato piccolo, molti piccolo rispetto per esempio agli Stati Uniti o alla Francia, quello dei brand di gioielli italiano. Pochi marchi riconoscibili a fronte di un mare magnum di catene, catenine e braccialetti di nessuna riconoscibilità e discutibile creatività che, non a caso, subiscono pesantemente la concorrenza cinese. Ma per chi ha saputo farsi marchio l'andamento percentuale progressivo positivo delle vendite sembra andare di pari passo con l'aumento della pubblicità del comparto: +8,7% a 52,1 milioni di euro nel 2005, con i settimanali a farla da padrone con una quota del 65% ma i quotidiani in netta ripresa con un aumento della quota di spettanza pari al 31,9%, secondo i dati analizzati dalla società di ricerca Pambianco su 58 testate al netto degli sconti (calcolati su un taglio del 75% sul valore di listino).
La percentuale, però, diminuisce drasticamente a +2,2% se si considerano gli investimenti a numero di marchi omogenei rispetto al 2004, cioè 114 su un totale 2005 di 163 e un complessivo 171 del 2004. Diminuiscono dunque i marchi di gioielli che fanno pubblicità, ma chi ha deciso di perseguire questa strada lo fa con convinzione. Anzi: fra i primi 50 marchi, che rappresentano il 91% degli investimenti, le spese pubblicitarie classiche sono salite del 6,6%.
Al top degli spenders, sempre secondo l'analisi di Pambianco, figura il colosso De Beers con un (relativamente) modesto investimento di 3,2 milioni, seguito però dagli italianissimi Rebecca (2,8 milioni di investimento, con una share sul totale investimenti del settore pari al 5,4%) e Damiani con 1,9 milioni (3,7%).
Interessante, per verificare il movimento del comparto, si rivela anche la classifica dei top 5 marchi per incremento percentuale degli investimenti: oltre al numero uno Yukiko (+1895% a 631 milioni), si presenta in seconda posizione un brand che per anni è sembrato poco attento all'immagine e all'innovazione come Uno-a-Erre. Interessante anche l'aumento degli investimenti del piccolo, ma attivissimo, marchio del lusso born in Capri, cioè Chantecler. La classifica viene ancora una volta ribaltata se si considera (con un confronto che le testate giudicano improprio ma comunque fanno tutti gli utenti pubblicitari) il rapporto fra investimenti pubblicitari e articoli ottenuti sull'azienda o sul prodotto: al primo posto si qualifica De Beers, seguito però da Bulgari, Cartier, Pomellato e Damiani, a dimostrazione che l'interesse della stampa è legato, come dev'essere, all'informazione e alla novità, a prescindere dagli investimenti ottenuti. Il rapporto 0,3, cioé 3 pagine di articoli a fronte di dieci pagine di pubblicità effettuate dall'azienda, ne è un'ulteriore dimostrazione.
Estratto da Mffashion del 5/04/06 a cura di Pambianconews