Inizia giovedì il milanese Salone del Mobile, mentre il settore dell'arredamento sta attraversando un periodo di stasi. Nel 2005, infatti, secondo i dati elaborati dal centro studi Cosmit assieme a Federlegno-Arredo, il fatturato alla produzione nel 2005 è calato del 2,3%, fermandosi a meno di 22,3 miliardi di euro, a causa di un netto arretramento dell'export, troppo concentrato in Europa occidentale, visto che il Vecchio Continente è il mercato con minori prospettive di crescita. Per giunta, l'import appare senza freni (più 14,7%) a causa di prodotti a basso costo che hanno congestionato il già poco vivace mercato interno.
La situazione sembra peggiore delle previsioni, eppure qualche spiraglio di ottimismo arriva da Pambianco Strategie di Impresa. La società di consulenza milanese tiene sotto osservazione un campione delle più note aziende del comparto arredamento e cucine (una sessantina le prime, una trentina le seconde). Il campione rivela comunque una capacità di aumentare i ricavi, per quanto i progressi siano al rallenty. I dati aggregati sul plotone d'elite si riferiscono al 2004, ma Pambianco spiega che nel 2005 si attende «un fatturato in leggera crescita, un po' più accentuata, cioè del 5,6%, per le cucine, in attesa di segnali di miglioramento più consistenti nel 2006».
Secondo le analisi, a tirare il carro della crescita sono in entrambi i comparti le Aziende di dimensioni maggiori (caso Fantuzzi a parte). Lo conferma il fatto che i principali gruppi hanno tutti chiuso lo scorso esercizio con un miglioramento dei ricavi. E che nelle prime posizioni in classifica ci sono poche new entry: per i mobili, entra tra i primi sei il gruppo Cassina, mentre tra i cucinieri c'è il sorpasso di Berloni su Fontanarossa. Evidentemente, la dimensione garantisce una certa capacità di affrontare le difficoltà congiunturali, specie oltre le colonne d'Ercole del mercato europeo. Dove questi marchi, sempre secondo Pambianco, riescono anche a produrre utili. Ma non sembra essere soltanto una questione di spalle larghe. C'è anche un aspetto qualitativo, nei confronti del quale l'intero settore appare in ritardo.
«Il comparto dell'arredamento italiano, spiega Carlo Pambianco, si è incamminato negli ultimi 10-15 anni sulla strada aperta dalle passerelle del made in Italy». Ossia la strada maestra dell'immagine e della creazione di brand. Tuttavia, «sembra che ancora debba trovare la stessa marcia delle griffe di moda». Può sembrare una fotografia impietosa, ma «il mobile attende ancora che arrivi l'epoca dei grandi stilisti». E prendere atto di questo può anche infondere coraggio. Sono stati gli stilisti, infatti, a regalare alla moda il cambio di passo e di dimensioni necessario a sfondare all'estero. «L'arredamento, continua Pambianco, ha intrapreso la strada giusta, puntando su qualità e design». Si è posizionato su una fascia alta, cioè, che non rischia l'attacco delle catene Ikea. «Tuttavia, riprende Pambianco, le dimensioni ridotte frenano la definitiva consacrazione: il fatturato medio del 2004 si fermava a 39 milioni». Troppo poco per veri investimenti in immagine. Si pensi a quanto investito dai grandi brand del lusso per le proprie catene di negozi. «E si consideri, conclude Pambianco, che per un negozio di mobili occorrono investimenti moltiplicati rispetto alle boutique di moda».
Estratto da Finanza&Mercati del 1/04/06 a cura di Pambianconews