Sono stanchi di essere copiati, di vedere i loro vestiti da 1.500 dollari riproposti, nei grandi magazzini di New York, Miami e Los Angeles, a meno di 150 dollari. Imitazioni perfette, che vanno a ruba proprio perché costano poco. E che riviste come «Marie Claire» pubblicano puntualmente mettendoli a confronto con gli originali «che valgono quanto uno stipendio». Ora però gli stilisti americani hanno deciso di dire basta alla pirateria dilagante sul fronte della moda e con il governo americano hanno ingaggiato una battaglia per ottenere il copyright sugli abiti.
«Gli abiti sono le nostre opere, sono il frutto della nostra creatività, vogliamo che siano protetti» ha dichiarato a Washington, di fronte al Congresso americano, il 14 marzo scorso, Narciso Rodriguez. Il giovane stilista, insieme a Diane Von Furstenberg e Zac Posen, si è fatto portavoce di tutti gli stilisti americani, comprese le grandi firme come Ralph Lauren, Donna Karan e Calvin Klein. «I nostri abiti costano molto, ha ammesso Rodriguez, ma il prezzo alto è giustificato dal fatto che noi spendiamo tempo nella ricerca dei tessuti, dei nuovi tagli e nelle nuove soluzioni creative».
A sostenere la battaglia degli stilisti americani, spalleggiati dai colleghi italiani e francesi, è l'avvocato Alain Coblence il quale ha chiesto un copyright sugli abiti della durata di tre anni. «In America, c'è una legge che tutela i disegnatori di scafi delle barche, spiega l'avvocato, i nuovi progetti hanno un copyright di 10 anni ma, noi, per gli abiti, ne chiediamo tre». Ma come si garantisce un copyright quando più stilisti si ispirano allo stesso tema? Di recente sulle passerelle molti creativi hanno realizzato cinture-obi e kimoni in omaggio al film «Memorie di una geisha». In questo caso, a chi andrebbe il copyright? «Negli grandi magazzini americani, fanno notare alla redazione di Marie Claire, ci sono piani riservati alle grandi griffe e altri dove si trovano abiti che si rifanno alle tendenze di stagione. Quindi, su piani diversi, convivono gli originali e le loro copie. Ma sono due mercati che non si danneggiano, perché ognuno ha le sue clienti affezionate».
Estratto da La Repubblica del 31/03/06 a cura di Pambianconews