“Cartier? E' un mio competitor, tra i più temuti”. Wolff Heinrichsdorff, 60 anni, numero uno di Montblanc, il marchio cult delle penne stilografiche (e non solo), non ha dubbi. “Il fatto di appartenere entrambi al gruppo Richemont non significa che non dobbiamo competere. Anzi. Il mercato è spietato e non bisogna lasciarsi andare ai convenevoli. Nemmeno tra cugini”.
Montblanc è sinonimo di penne stilografiche. Eppure, negli anni, avete diversificato la produzione. Perché?
Vendere solo penne, per quanto prestigiose, ci sembrava riduttivo. Inoltre, la prima diversificazione risale addirittura al 1935. Quell'anno, infatti, venne aperto a Lammerspiel, vicino a Offenbach, il primo laboratorio per la produzione di pezzi di piccola pelletteria di lusso.
In tempi molto più recenti abbiamo adottato quella che io chiamo la strategia dei «cerchi concentrici»: di volta in volta, investiamo in un business che è il più vicino possibile ai nostri prodotti core. Anche la tempistica è importante: per far accettare al mercato la nuova gamma ci vogliono almeno due anni.
Chi produce le vostre linee?
Preferiamo realizzare tutto internamente: ne va della qualità dei prodotti. Abbiamo però anche delle licenze, per gli occhiali, ad esempio, ci affidiamo all'italiana Marcolin, e abbiamo in licenza pure i profumi. Quello che conta, però, è non esagerare.
Perché avete puntato sui negozi monomarca?
Per lo stesso motivo per cui abbiamo scelto di produrre in proprio: ne va della qualità del servizio offerto. A oggi abbiamo 260 negozi. E, poi, non va sottovalutata l'importanza dell'immagine. Siamo presenti nelle location più esclusive del mondo: dagli Champs Elysées a via Monte Napoleone.
Quali sono i numeri di Montblanc?
Al quartier generale di Amburgo fanno capo 17 filiali sparse in tutto il mondo. I nostri prodotti, però, sono venduti in 70 Paesi e i dipendenti sono oltre 2 mila.
Estratto da Economy del 17/03/06 a cura di Pambianconews