Che effetto fa essere tornati ufficialmente in pista?
In pista ci siamo sempre stati, da tanti mesi lavoravamo dietro le quinte. Abbiamo per prima cosa studiato a lungo come posizionarci e abbiamo deciso di proporci come la prima brand del vero lusso del Terzo millennio. Solo a quel punto abbiamo cominciato a pensare a un possibile partner per la moda.
Quanti ne avete presi in considerazione?
In linea del tutto teorica avevamo due nomi in mente, ma siamo partiti con Zegna, le trattative sono state soddisfacenti così abbiamo continuato il rapporto solo con questo gruppo.
Aspetti contrattuali a parte, avete fatto anche prove sul campo?
Non ce n'è stato bisogno. Del resto il vantaggio con Zegna è che collaboravamo dai tempi della licenza per la linea uomo di Gucci e Yves Saint Laurent.
I francesi nel lusso vanno forte. Non avete esaminato (o non si è fatto avanti) alcun nome transalpino?
Assolutamente no. Si parla spesso di made in ltaly come se fosse una questione teoretica, invece è un fatto molto pragmatico, che deriva dal posizionamento del marchio. In effetti Tom e io eravamo liberi di scegliere di produrre dove e con chi volevamo. Ma una volta che abbiamo deciso di posizionare il marchio al massimo livello, l'Italia era una scelta obbligata.
Insomma, questo tanto discusso made ia Italy ha un valore davvero unico, almeno nel lusso.
L'ho detto varie volte e non cambio idea: chi dice che il made in Italy nel lusso si è appannato sbaglia. Certo non sì può generalizzare: il discorso cambia se si tratta di produrre jeans da poche decine di euro. A quel punto l'Asia è una scelta logica, quasi obbligata.
Estratto da Panorama del 10/03/06 a cura di Pambianconews