Il gioiello italiano è sempre più di nicchia. Non solo in termini di esclusività e lusso, quanto piuttosto in termini di capacità di sopravvivenza. Negli ultimi anni, si assiste a questo fenomeno: alle piccole oreficerie che sono state per decenni la spina dorsale del settore si stanno sostituendo gruppi industriali capaci di affrontare la competizione internazionale. Sia con la creazione di brand (concetto pressoché inesistente fino a non molto tempo fa) sia tramite strutture di distribuzione complesse.
Una conferma al fenomeno arriva da una ricerca di Pambianco Strategie di Impresa sul settore dei gioielli. Lo studio prende in considerazione un campione di 31 aziende che registrano vendite in continuo progresso, in grado di generare e migliorare gli utili e di aumentare la patrimonializzazione. Un trend che appare quasi agli antipodi rispetto alla generale salute del settore. Il comparto orafo italiano continua a coprire da solo il 70% della produzione europea, con una lavorazione annua di oltre 500 tonnellate di oro fino, 1.400 tonnellate di argento e quattro di platino. Un settore che dà lavoro a più di 40mila addetti e genera un fatturato annuo di 5,5 miliardi di euro. Eppure, al di là dei numeri, è un segmento che deve risolvere una evidente debolezza strutturale: quella di essere frazionato in 10mila piccole aziende, arroccate nei distretti storici di Vicenza, Arezzo, Valenza e Torre del Greco.
Il campione di società considerato da Pambianco ha registrato nel 2004 un incremento dell'8,6% del fatturato, arrivato a 1,18 miliardi (dai dati aggregati di bilancio manca Bulgari in quanto troppo anomalo per dimensioni). È migliorato anche l'utile netto complessivo, passato dall'1,8 al 2,4% dei ricavi. Mentre la patrimonializzazione (rapporto tra patrimonio netto su capitale investito) è migliorata passando dal 32,3 al 37,7 per cento. «È un altro passo avanti, si legge nello studio, anche se un buon rapporto dovrebbe aggirarsi sul 50% e gli attuali livelli restano bassi rispetto alle necessità di sviluppo delle imprese».
Secondo Pambianco, il 2005 si è chiuso con un aumento del 4-5% del fatturato e utili netti ancora migliorati al 3% delle vendite. «Si tratta di miglioramenti, prosegue Pambianco, che dovrebbero confermarsi nel 2006, dovuti anche al rafforzamento delle politiche di marchio che le aziende del campione hanno iniziato a perseguire con maggiore determinazione negli ultimi due-tre anni».
Estratto da Finanza&Mercati del 11/02/06 a cura di Pambianconews