Una grande occasione perduta per il sistema moda italiano. Soprattutto per le pmi che producono interamente in Italia. Così Paola Mariani, prima firmataria della proposta di legge sulla riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani, descrive la probabile mancata approvazione del ddl sul "full made in Italy".
Cosa è successo?
Abbiamo notizia di una lettera di Luca Cordero di Montezemolo, presidente di Confindustria, direttamente a Silvio Berlusconi, in cui si chiedeva più o meno di insabbiare il provvedimento. Le grandi e medie imprese che delocalizzano all'estero non hanno interesse per le leggi sul full made in Italy.
Il ddl le penalizza?
Affatto. Lo scopo del provvedimento è solo quello di distinguere e rendere riconoscibili sul mercato quelle aziende, spesso piccole o addirittura micro, che esauriscono tutto il ciclo di produzione in Italia. Con pesi, però, totalmente diversi sul fronte dei costi del lavoro e delle stesse materie prime. Insomma, crediamo sia giusto dare loro la possibilità di presentare ai consumatori prodotti totalmente italiani con uno strumento di riconoscibilità. È una questione di trasparenza del mercato e di concorrenza leale. Osteggiare leggi come queste vuol dire infliggere un colpo mortale alle poche filiere rimaste in Italia, come quella della moda, il fiore all'occhiello del made in Italy.
Il ddl avrebbe potuto entrare in attrito con la normativa Ue?
Abbiamo sempre saputo di dover camminare su un terreno scivoloso che avrebbe potuto prestarsi a conflitti con Bruxelles. Tuttavia, e questo è stato un argomento su cui ha fatto leva l'industria, anche in Europa si sta discutendo sulla necessità di apporre il marchio extra-Ue ai prodotti non europei. Sì è detto che avremmo dovuto evitare, come la Commissione raccomanda, di accavallare stesse norme su medesimi terreni. In realtà, o si modificano subito i codici doganali che permettono l'ingresso di semilavorati per le ditte italiane che poi marchiano made in Italy o si mettono paletti nel nostro paese. Con legge italiana.
Una posizione anti-Ue?
Il contrario. Proprio i paesi come l'Italia con una vocazione europeista cristallina possono far notare all'Ue quanto in questi anni è cambiato il mercato. Questo non è un vulnus all'Europa: certe norme sono state fatte in nome della libera circolazione di merci ma se poi, per esempio, una concorrenza asiatica sleale mina i nostri sistemi produttivi dobbiamo correre, direi intelligentemente, ai ripari.
Estratto da ItaliaOggi del 9/02/06 a cura di Pambianconews