La Borsa rappresenta ancora uno spauracchio per le aziende italiane della moda. Di società quotate, legate alla moda e al lusso, oggi ce ne sono una quindicina, ma sono molto più numerose quelle che “sulla carta” sarebbero pronte, nel giro di tre-cinque anni, per il listino di Borsa. Sono stati passati al staccio i bilanci di circa ottocento aziende tricolore e a superare l´esame è stato circa il 10 per cento. Le società che hanno i requisiti per andare in Borsa sono un´ottantina, al momento, secondo uno studio condotto da Pambianco Strategie di Impresa. Si tratta di 11 gruppi della moda, 45 aziende di abbigliamento, 8 di calzature, 2 di pelletteria, 7 di gioielli e di orologi, 5 di profumi e cosmetica e 2 della distribuzione. E´ stata fatta una sorta di “pagella” con un vero e proprio punteggio calcolato sulla base di otto fattori ritenuti più rilevanti nel seguente ordine: la notorietà del marchio; la crescita percentuale del fatturato calcolato sui bilanci 2004 su 2001; il margine operativo lordo medio calcolato sui bilanci 2004 su 2002; la dimensione aziendale; l´età di chi guida l´azienda; l´ammontare dell´indebitamento; la forza distributiva attraverso negozi diretti e se il marchio è di lusso.
«Sono numerose le aziende che potrebbero essere quotate e che in questo modo potrebbero dare un impulso a tutto il sistema moda italiano, commenta Carlo Pambianco a capo di Pambianco Strategie di Impresa. Molti imprenditori dovrebbero aprirsi e riflettere maggiormente su questo strumento che metterebbe a disposizione delle loro aziende più risorse e le renderebbe anche più appetibili a manager di alto profilo». Le griffe e i marchi del fashion nicchiano perché, si sa, la Borsa impegna a una resa dei conti trimestrale, ma dà anche una grande visibilità.
Grazie alla quotazione siamo cresciuti con le acquisizioni, commenta Giovanni Burani, amministratore delegato di Mariella Burani Fashion Group. Abbiamo chiuso il 2005 a 480 milioni di euro rispetto ai 100 milioni di quando ci siamo quotati nel 2000. Certo, siamo andati in Borsa con un importate programma di sviluppo. La raccolta di capitali ci ha permesso di attuarlo. Ma è anche vero che la quotazione è molto impegnativa e onerosa, soprattutto per le piccole aziende. E´ molto aumentata la burocrazia e il costo delle Ipo. Bisogna fare un´analisi fredda di costi-benefici. Comunque non ne vale la pena se con la quotazione non si raccolgono almeno una quindicina di milioni».
Sempre sulla “carta” ognuna di queste “top venti” potrebbe avere dei buoni motivi per quotarsi. Diesel, per esempio, valutata dal mercato cinque volte il suo fatturato (che è di 1,1 miliardi di euro) se dovesse andare in Borsa, quotando un trenta per cento, prenderebbe una bella somma con la quale potrebbe lanciare in modo massiccio il marchio Margiela, che è il progetto più caro al gruppo di Renzo Rosso in questo momento, e continuare a rafforzare nel mondo i monomarca diretti di Diesel.
Ma se sono un´ottantina ad avere le caratteristiche per poter guardare alla Borsa i numeri si abbassano di parecchio se si considera quante aziende potrebbero effettivamente quotarsi nei prossimi 3-5 anni. Una stima realistica, secondo Pambianco, potrebbe essere quella di 10-12 aziende che solo se la situazione di mercato sarà particolarmente favorevole potrebbe salire alle 12-15.
Estratto da Affari&Finanza del 23/01/06 a cura di Pambianconews