Tempi duri per Prato, una delle aree in cui si lavora il cashmere. «Una buona parte di questa fibra nobile» dice Carlo Longo, presidente degli industriali pratesi, «passa dalla nostra area, almeno per una fase di lavorazione, coinvolgendo 7.500 addetti». L'Italia continua a primeggiare nell'alta qualità, ma la concorrenza di maglie morbide vendute sui mercati mondiali a prezzi irrisori, magari con l'aiuto di qualche fibra meno pregiata, è preoccupante. In più l'attivismo dell'industria cinese riduce la quantità di cashmere da lavorare disponibile sul mercato: oltre a usare il proprio, la Cina ormai compra all'estero la fibra.
L'Italia vende all'estero a 68,5 euro a pezzo (è il prezzo industriale, destinato a lievitare quando la maglia arriva in negozio) e compra da Madagascar, Cina e Hong Kong, oltre che dalla Romania, che fornisce molti marchi italiani, a 34 euro. La merce straniera costa la metà: incidono molto la manodopera, la ricerca, lo stile, l'innovazione, che fanno crescere il prezzo del prodotto italiano. Ma in alcuni casi c'è il sospetto che dentro il puro cashmere ci sia qualcos'altro, magari fibra di yak o di pecora, e non dei 104 milioni di caprette allevate nel mondo.
L'Italia importa circa il 35% del cashmere venduto sui mercati internazionali, oltre 3.300 tonnellate nel 2004. La quota maggiore di import è della Cina, che si sta ulteriormente rafforzando come produttore di maglieria. Non le bastano più 75 milioni di capre, vale a dire tre quarti di quelle allevate in tutto il mondo, e compra in Mongolia, Iran, Afghanistan. Ma non sempre c'è la certezza della qualità.
Avverte Alvaro Brizi, presidente di AngroBrizi, gruppo perugino che lavora il fiocco di cashmere: «Molti produttori, attirati dalle alte quotazioni e dai facili guadagni, adottano sofisticate metodologie per inquinare il fiocco con i più svariati prodotti di basso pregio, così ricavano il massimo profitto. Intere regioni della Cina lavorano e trasformano il prodotto con questi metodi, generando sospetti e confusione in un mercato già abbastanza complesso. Nelle zone di produzione per eccellenza inizia a formarsi una mentalità favorevole a difendere il pregio del prodotto, ma la ricerca dei lotti di migliore qualità resta difficile».
Estratto da Economy del 10/01/06 a cura di Pambianconews