Tre settimane fa a Bruxelles è arrivato il via libera della Commissione, ora affinché in Europa venga introdotto l'obbligo dell'etichetta di origine sui prodotti importati (come già avviene, per esempio, negli Usa e in Cina), manca solo il sì definitivo del consiglio dei ministri Ue. E un appoggio a questa misura arriva, un po' a sorpresa, da uno di quei concorrenti cinesi tanto temuti dalle imprese del Vecchio Continente, Italia in testa.
«Dal mio punto di vista, l'introduzione di una etichetta di origine è un passo necessario per poter incrementare positivamente le relazioni commerciali e industriali», dice infatti Zhu Yong, il quarantaduenne vice presidente di ShangTex Holding, gruppo di Shanghai da 3 miliardi di dollari (2,5 miliardi di euro) di fatturato, conglomerata che spazia dalla produzione di fibre ai tessuti per auto agli abiti, di proprietà statale e quotata in Borsa.
Secondo il manager, che ricopre numerose altre cariche ed è professore alla Donghua University, «il commercio internazionale deve essere il più possibile equo, giusto e libero e sostenuto da benefici reciproci», e per questo dice che gli piacerebbe «che l'Unione europea applicasse un sistema di licenze di importazione che abbia come priorità di offrire garanzie alle industrie tessili cinesi, per aiutarle nel processo di transizione da semplici manifatture a organizzazioni commerciali evolute». Dall'altra parte, Zhu Yong è «assolutamente favorevole» a cancellare i dazi che ancora gravano sulle imprese che esportano in Cina.
Se la Cina guarda all'Italia, anche l'Italia ha grandi opportunità in Cina. «C'è un enorme potenziale di mercato per il made in Italy». Quali i nomi migliori? «Sarebbero forse troppi da citare… Certamente Armani, Versace, Gucci, Max Mara, Ferragamo». Secondo il vice presidente di ShangTex Holding una strada che può sviluppare benefici per entrambi i Paesi «è cercare di unire la capacità creativa, di ispirazione e il design italiano con la capacità cinese di essere competitiva a livello mondiale sotto il profilo della produzione. Un approccio di questo tipo – sostiene – è decisamente sensato sia riguardo la penetrazione nel mercato locale cinese che rispetto ai mercati globali».
Estratto da CorrierEconomia del 9/01/06 a cura di Pambianconews