Circa due anni fa, quando Pascal Lamy, all'epoca commissario Ue al Commercio, fece notare che l'industria tessile europea doveva prepararsi al «big bang» scatenato dalla fine delle quote all'import dalla Cina, in molti pensarono a un'iperbole. Ma Pascal Lamy, attuale direttore della Wto, è uomo che pesa le parole. E i fatti adesso dicono che a quasi un anno di distanza dall'abolizione delle quote sulle merci cinesi, archiviate il primo gennaio 2005, il big bang non solo c'è stato veramente, ma la sua energia è ben lontana dall'essersi esaurita.
Qualcuno ha provato a smontare il motore dell'industria tessile di Pechino per vedere come è fatto, e come funziona. Sono gli economisti di Euler Hermes, società leader nell'assicurazione del credito. Nell'ultimo “Meteo internazionale dei settori merceologici”, diffuso in Italia da Euler Hermes Siac, l'Osservatorio sull'industria tessile ha passato in rassegna i meccanismi delle fabbriche dell'ex Celeste impero. E il dietro le quinte rivela aspetti che rafforzano l'immagine di un'industria rampante, ma svela anche elementi di fragilità.
La Cina aveva preparato con notevole anticipo, ben prima della fine ufficiale delle quote, il proprio assalto ai fortini europeo e americano. La capacità produttiva è aumentata del 50% negli ultimi quattro anni, e gli investimenti hanno raggiunto la cifra di 21 miliardi di dollari negli ultimi tre anni.
Anche la strategia dei prezzi è stata messa al servizio delle conquiste dell'Impero di mezzo, ben prima della fine delle quote. Dietro il tessile cinese si nasconde un arsenate di aiuti pubblici. Il 46% dell'industria è riconducibile alto Stato, e quasi un terzo delle imprese di Stato sono in perdita. Gli aiuti sono di tutti i tipi: prestiti a tassi ridotti alle imprese che hanno obiettivi di export, riduzione dell'Iva sull'import di macchinari, sovvenzioni alle aziende di Stato in perdita e riduzione dei costi di acquisto dell'energia.
Forse, fra cinque-sei anni ci si accorgerà che il boom del tessile cinese si è fatto su una base finanziaria fragile, e il castello potrebbe crollare. A meno che gli investimenti stranieri in Cina non consolidino le fondamenta del sistema. Ma nel frattempo, l'industria tessile europea rischia l'estinzione. Anche per colpa sua, come conseguenza dei metodi di acquisto dei Paesi sviluppati. L'industria europea sembra avere in mano solo la carta della continua innovazione.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 20/12/05 a cura di Pambianconews