«Il design italiano è gravemente minacciato. E non sono le aziende cinesi, indiane o turche la fonte principale di questa minaccia, ma le stesse aziende italiane. Il sistema moda italiano si sta autodistruggendo, col sostanziale beneplacito delle associazioni industriali e della magistratura». Il J´accuse arriva da Oscar Marcheggiani che per la società di consulenza Arthur D. Little è responsabile del Fashion & Textile Group.
Lei fa un´accusa pesante alle aziende italiane…
«Sono loro le principali protagoniste del furto del design italiano. Parliamo in particolare del tessile che è in crisi più dell´abbigliamento. Tutti i distretti, Biella, Como, Busto, Bergamo, Prato, se la passano male, con decine di migliaia di posti di lavoro a rischio immediato. In questo panorama piuttosto plumbeo, le aziende tessili stanno facendo miracoli per mantenersi a galla usando le armi a disposizione, ovvero la distribuzione commerciale, la collaborazione con i produttori di abbigliamento, ed una fantastica creatività. La meccanica è nota a tutti: i buyer delle aziende di abbigliamento esaminano l´offerta dei diversi fornitori, scelgono le cartelle, ordinano tagli e pezze campione per i tessuti selezionati e realizzano con questi i campionari di capi finiti che vengono poi usati per la vendita. Quando arrivano gli ordini da parte della distribuzione, questi vengono convertiti in ordini di tessuti e così via, stagione dopo stagione. Senonché da qualche tempo il giro è mutato».
Come?
«Ai tessutai italiani vengono passati i soli ordini di campionatura, mentre gli ordini di produzione (da 10 a 100 volte superiori) vengono girati direttamente a tessutai turchi, indiani o cinesi, dove si spuntano prezzi inferiori anche della metà. Siccome i tessutai italiani hanno cominciato a farsi furbi e a lesinare sulle campionature, sempre più spesso i produttori di abbigliamento si accontentano delle sole cartelle campionario (su cui non è praticamente possibile il controllo) e passano i disegni da riprodurre all´estero anche per le pezze campione. Tra l´altro per riuscire a produrre qualità sufficientemente vicine agli originali, le aziende estere ricevono anche fior di assistenza tecnica da tecnici italiani appositamente pagati dai produttori di abbigliamento. La situazione è praticamente incontrollabile dai tessutai perché le aziende di abbigliamento non producono più nulla internamente, e hanno preso l´abitudine di far acquistare i tessuti dai propri terzisti, i quali spesso non rivelano per chi stanno lavorando».
Cosa fanno le istituzioni?
«Non si capisce perché, a fronte di tante chiacchiere sul “Made in Italy” le associazioni industriali e la magistratura, non abbiano fatto il proprio dovere. Speriamo che, essendo state riunite le responsabilità associative del Sistema Moda Italia sotto la presidenza dell´erede di una grande famiglia tessile degna della massima stima, l´associazione dia finalmente spazio alla difesa delle aziende che contribuiscono a mantenere alta la creatività del tessile italiano».
Estratto da Affari&Finanza del 19/12/05 a cura di Pambianconews