La pasta, la Ferrari e l'alta moda. Gli eterni simboli del made in Italy al di là delle Alpi, nell'immaginario universale, continuano a rappresentare l'icona, magari un pò stereotipata, del Bel Paese e della dolce vita, nonostante tutto. Secondo i francesi, i tedeschi, gli americani e i cinesi, il made in Italy non solo è «amato», ma rappresenta «un valore in sé capace di catalizzare l'attenzione dei consumatori» e di favorire il successo di un prodotto. E allora come viene vissuto, nel bene e nel male, il prodotto italiano nella testa del consumatore internazionale?
Se lo sono chiesto i ricercatori di Publicis Italia, emanazione del colosso francese della pubblicità. E le risposte che hanno raccolto a cavallo tra agosto e settembre scorso tra oltre 600 consumatori in Francia, Germania, Stati Uniti e Cina sono racchiuse in una ricerca appena pubblicata. S'intitola "Di che cosa è fatto il made in Italy?" ed è un'indagine a tutto campo capace di fotografare la percezione della produzione tricolore all'estero e d'individuare le leve strategiche per la sua valorizzazione nel mondo. Eccole: qualità e spirito artigianale (come l'olio Bertolli, le scarpe Tod's o le giacche di Canali); reinterpretazione (l'olio Carapelli o la pasta Barilla), tipicità/localismo (il grana padano o le ricette Buitoni); semplicità/classicismo (un abito di Armani o lo yogurt Yomo); edonismo (la Maserati o un capo di Versace).
«La qualità italiana è un concetto legato all'uomo non alla macchina» sintetizzano a Publicis. Perché è proprio il fattore umano il denominatore comune del made in Italy. In un mondo che diventa sempre più anonimo, impersonale, costituisce il principale fattore critico di successo delle produzioni italiane.
Estratto da Economy del 16/12/05 a cura di Pambianconews