Gucci, Bulgari, Tod's, Dolce & Gabbana, Marzotto. Per il Gotha dell'industria del lusso oggi c'è una sola parola d'ordine: investire in Asia. Mentre l'industria manifatturiera italiana accusa i colpi della concorrenza cinese, il segmento più celebrato del made in Italy si appresta a lanciare uno dei più aggressivi piani di espansione dopo la conquista del mercato americano e giapponese: c'è chi è pronto, come Gucci, a concentrare in Asia nei prossimi due anni la maggior parte delle nuove aperture di negozi e chi come Della Valle, intende quadruplicare i punti vendita in Cina. Finora, del resto, gli investimenti in Asia hanno dato ragione alle maison del lusso.
Nell'ultimo trimestre, per esempio, Gucci ha visto salire il fatturato del 15,3% nell'area Asia Pacific in crescita del 28,1%. Tod's su ricavi totali in salita del 19,4% ha potuto contare su una crescita del 39,5% in Asia. Vuitton (+13%) ha incrementato le sue entrate sempre in Asia del 17%. Nei primi sei mesi dell'anno Christian Dior Couture (+14%) è cresciuta del 26 per cento. Bulgari, infine, è salita del 3,6% in Giappone ma è scesa del 16,2% nel Far East.
Secondo stime di Merrill Lynch nel 2004 la Cina pesava per l'11% sul fatturato totale dell'industria del lusso (dove si intende vendite ai locali), l'India l'1 per cento. Nel 2014 la Cina salirà al 23% mentre l'India dovrà accontentarsi di un modesto 2% (in India, sostiene la banca d'affari americana, vi sono problemi culturali che potrebbero rallentare lo sviluppo del mercato), contro un Giappone che scenderà sempre nello stesso periodo dal 26 al 20%. Tra il 2004 e il 2014 le vendite ai cinesi cresceranno a un tasso medio annuo del 15%, quelle agli indiani del 14%: l'Europa si stima salirà di un 4%. Secondo stime Wto nel 2010 è atteso che 50 milioni di cinesi all'anno attraversino i confini nazionali, nel 2020 saliranno a 100 milioni.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 30/11/05 a cura di Pambianconews