Negli ultimi tre anni sono stati ceduti una trentina di marchi prestigiosi, in gran parte acquistati nel biennio rovente, il 1999-2000, delle M&A. Ma la lista poteva risultare più lunga se non ci fosse stato il calo dei multipli e la certezza di dover iscrivere a bilancio robuste minusvalenze. Ne hanno approfittato i fondi di private equity che hanno acquistato alcuni asset a prezzi da saldo. Alcune maison continuano invece a cercare sinergie e rilancio dei brand, come Lvmh e Gucci. In altri casi, come per Bulgari e Burani, lo shopping ha contribuito alla crescita e alla diversificazione aziendale.
«Distinguerei, osserva Carlo Pambianco, fondatore di Pambianco Strategie di Impresa, tra coloro che hanno avuto un approccio finanziario e chi invece ha sopravvalutato le sinergie dei brand, salvo poi rifocalizzarsi sul core business». Nel primo caso «rientrano, secondo Pambianco, Finpart, a corto di strategia industriale, ma anche Hdp che denunciava un approccio prevalentemente finanziario». Nel secondo caso rientra Prada, che è tornata a concentrarsi, anche sotto il peso dei debiti, sui due marchi di “casa” Prada e Miu Miu. Mentre Helmut Lang e Jil Sander sono rimasti all'esterno del perimetro di Prada Spa. Per Hehlmut Lang si stanno valutando opportunità di cessione, mentre Jil Sander è in fase di riorganizzazione con l'obiettivo di dimezzare le perdite nel 2005 e arrivare al pareggio operativo nel 2006. E non è esclusa la cessione.
Poi Pambianco cita il caso Ferragamo che, data l'impossibilità di rilanciare Ungaro, l'ha ceduto dopo nove anni. «E lo stesso vale per It Holding, aggiunge il consulente: ha diversificato nella cosmetica, nei profumi e nell'occhialeria credendo nel business, salvo prendere atto che non funzionava: una società di profumi deve avere tanti marchi e una distribuzione capillare, come L'Oréal ed Estée Lauder» .
Gucci invece ritiene ancora efficace la strategia multimarchio: il portafoglio brand continuerà a comprendere Gucci e Yves Saint Laurent (che rappresentano l' 82% dei ricavi 2004), ma anche Bottega Veneta, Boucheron, Alexander McQueen, Balenciaga, Sergio Rossi e Stella McCartney. Soltanto che gli “altri” marchi sono in profondo rosso ed erodono oltre il 42% dell'utile operativo prodotto da Gucci e Ysl Beauté. Più difficile capire la situazione del leader mondiale del lusso, Lvmh, che nei suoi bilanci non fornisce lo spaccato dei singoli brand. Ufficialmente però ha smentito qualsiasi cessione, compresa quella di Fendi, che dovrebbe raggiungere il break even operativo dall'anno prossimo.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 28/11/05 a cura di Pambianconews