«Voglio fare uno start up partendo da 1,4 miliardi di euro di fatturato». Patrizio Bertelli, come di consueto, punta in alto. È dal 2001 che morde il freno. Da quando, cioè, il disastro delle Torri Gemelle gli ha impedito di quotare in Borsa Prada e di rientrare dei soldi spesi nel folle shopping dei mesi precedenti, da Helmut Lang a Church´s passando per Fendi. «Dovevamo reagire con più determinazione, ammette oggi, invece ci siamo sentiti sconfitti e non volevamo rompere certi rapporti con le banche».
La quotazione in Borsa è accantonata per sempre?
«No. Ma a questo punto la faremo quando i risultati saranno fantastici. Nel 2007 dovremmo già raggiungere il 60% di margine operativo lordo e il 20-21% di utile prima degli oneri finanziari e delle tasse».
Aprirete nuovi negozi o puntate a migliorare l´efficienza interna?
«Vi saranno nuovi punti vendita ma mantenendo il rapporto 50 a 50 tra distribuzione diretta e attraverso terzi. Le performance finanziarie dei nostri negozi hanno ancora ampi margini di miglioramento. Non esistono più mercati di serie A e di serie B, bisogna approcciarli tutti con lo stesso metodo e tutto ciò è molto impegnativo».
Ma le aziende italiane della moda hanno già cominciato a produrre all´estero.
«Questo è il secondo punto. La domanda di beni qualificati si sta ampliando ma al contempo si riduce la manodopera qualificata. In Italia il lavoro artigianale non si tramanda più di padre in figlio e dunque la strada dell´estero a volte è obbligata. Noi per esempio produciamo le giunterie per le tomaie in Slovenia e Ungheria, in Romania parti di componentistica e i ricami vengono fatti fare in India. È un discorso che vale in particolar modo per i semilavorati che richiedono il lavoro di un certo numero di persone».
Estratto da La repubblica del 11/10/05 a cura di Pambianconews