Michele Norsa, amministratore delegato di Valentino, è convinto che servano delle regole ma resta ottimista sul futuro dell'industria italiana dell'abbigliamento.
Dottor Norsa, la Cina è la fonte di tutti i problemi?
No, semplicemente è e sarà un partner e un mercato difficile dal punto di vista delle relazioni. È un Paese che si sente molto potente, che spesso è inaffidabile e non sempre rispetta gli accordi. Per questo è indispensabile che Bruxelles mantenga un ruolo di vigilanza e di mediazione: di fronte a un Paese così forte ci vuole una controparte forte, che abbia più carte in mano da giocare.
Lei condivide l'accordo sulle quote?
Il sistema delle quote esiste da vent'anni e non è sbagliato. Anche perché fa un pò salire i prezzi: le aziende cinesi per esportare devono pagare le quote, e questo costo spesso diventa una parte rilevante dei costi di produzione. Il problema dei mesi scorsi è nato dal fatto che se si fissano dei tetti nel corso dell'anno il sistema non funziona più: le regole devono essere chiare in partenza. È anche vero che, con l'attuale struttura della Ue le quote sono fortemente aggirabili: se, per esempio, la merce entra dalla Moldavia chi controlla da dove viene?
Quali interventi suggerirebbe per sostenere l'industria italiana?
Prima di tutto l'etichetta di origine, che deve essere obbligatoria e ben visibile, come avviene negli Stati Uniti, e non nascosta all'interno di qualche tasca. È così che si compete ad armi pari. Poi, sul fronte domestico Governo e Ice devono sostenere di più l'espansione all'estero delle nostre aziende, soprattutto piccole e medie. L'appoggio delle ambasciate italiane è necessario, ma spesso manca. Così come spesso manca la presenza della compagnia di bandiera: Alitalia non vola più né a Hong Kong né a Singapore.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 9/09/05 a cura di Pambianconews