Il contrasto tra il Nord Europa dei trader e dei grandi buyer con il Sud manifatturiero, tra chi solo commercia e chi anche produce, è evidente e ineliminabile. Quando nei primi mesi di quest'anno è entrato in funzione il sistema di monitoraggio sulle importazioni di prodotti tessili e d'abbigliamento dalla Cina – su pressione, soprattutto, del Viceministro Adolfo Urso – i Paesi del Nord Europa lo hanno boicottato. Il Nord Europa ha fatto di tutto per impedire l'attivazione delle clausole di salvaguardia.
Ora i grandi buyer stanno facendo di tutto per convincere l'opinione pubblica che, non la Cina, ma le imprese tessili del Sud Europa sono la causa dei malanni prossimi venturi. A causa delle nuove quote, hanno dichiarato, soffriranno una perdita di 800 milioni di euro di fatturato, a fronte di un costo al in dogana di circa 250 milioni. Implicitamente, hanno ammesso che la vendita al pubblico avvenga con un ricarico di circa il 200%.
Non è vero quindi che il commercio con la Cina sia a tutto vantaggio dei consumatori. Vuol dire che se si tornasse agli approvvigionamenti in Europa, con prezzi di acquisto anche doppi rispetto a quelli cinesi, ma mantenendo invariati quelli di vendita al consumo, la grande distribuzione potrebbe comunque beneficiare di ricarichi ragguardevoli.
Del resto, questo era e rimane lo scopo dell'accordo siglato a giugno tra Mandelson e Bo Xilai: stimolare la domanda verso la produzione interna, calmierando l'eccesso di offerta cinese, senza rischi di ritorsioni.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 26/08/05 a cura di Pambianconews