Mentre tutti gli indicatori dicono che la situazione attuale è critica sensazioni di chi vive dentro la moda fanno pensare che sul mercato italiano forme di reazione siano, finalmente, in corso. «Dopo la difesa, dice Paolo Zegna, presidente della federazione frutto dell'unione tra Smi e Ati, sembra arrivato il momento di guardare avanti».
In questi anni di grave contrazione, mentre è entrata in sofferenza la moda esplosa negli anni Ottanta-Novanta, sono nati, o hanno finalmente trovato la strada del successo, parecchi nomi nuovi. Che hanno raggiunto dimensioni anche discrete (in diversi superano i 50 milioni di euro), puntando soprattutto sui giovani, sul buon prezzo, quasi sempre sulla distribuzione. Società che hanno usato spesso testimonial, e sposato il canale televisivo più che la tradizionale carta stampata.
Società che in molti casi sono l'evoluzione di quel che si definisce «pronto moda», la moda che imita i grandi stilisti e arriva in pochissimo tempo nei negozi. Quasi sempre catene sulla falsariga della Zara di Amancio Ortega che da alcuni anni viene guardato come al modello per eccellenza e che ha influenzato organizzazione e perfino stile anche dei grandi nomi della moda.
Ma sarà davvero quello di Zara il modello più percorribile? «Marca, qualità, forza distributiva, percezione del cliente, servizio sono tutti elementi di base, devono cioè sempre essere presenti, dice Fabio Tamburini, responsabile dei progetti speciali di Unicredit banca d'impresa, autore di un approfondito studio sulle aziende del made in Italy. Dopodiché i modelli di business vincenti per i prossimi anni sono due. Il primo è basato sul format distributivo, dove il prodotto è solo uno degli elementi e il prezzo è il secondo, se non il primo, dei motivi di acquisto. Con un assortimento magari non completo ma veloce e negozi propri. Il tutto rafforzato da elementi tecnici o emozionali di gusto. Poi, prosegue Tamburini, c'è il modello basato sulla marca, al servizio della quale c'è tutto il resto. Un modello che va bene per aziende medie, dalla storia forte e dal prodotto di qualità alta se non altissima. Che abbiano dei flagshipstore ma non una rete di vendita diretta. E con una forte formazione del personale di vendita».
Maria Silvia Sacchi
Estratto da CorrierEconomia del 11/07/05 a cura di Pambianconews