Come si deve ristrutturare il tessile italiano? Secondo quali linee? Soprattutto considerando il fatto che il tanto richiesto taglio dell'Irap slitta al 2006? Urso spiega che l'Italia ha chiesto che «almeno il 5%» dei fondi strutturali dell'Unione Europea del piano 2006-2013 siano destinati alla ristrutturazione e ammodernamento del comparto tessile nei Paesi nei quali c'è un'ampia prevalenza di questa industria, oltre all'Italia, la Francia e la Spagna. In parallelo, si dovrà continuare a rafforzare l'opera di contrasto alla contraffazione.
Saranno, però, le imprese a dover fare la parte maggiore. Qual è il contesto competitivo e quali ne sono gli attori ormai è chiaro, non ci sono altre scuse. «Secondo me non ce n'erano nemmeno prima, ma tanto meno adesso, dice Paolo Zegna, presidente di Smi-Sistema moda Italia, l'associazione confindustriale del tessile-abbigliamento. Ora la rete è chiara, si sa che questa protezione sarà in vigore fino al 2007 e quindi non dovremo ridiscuterla ogni anno».
Il presidente di Smi dice ancora che «dobbiamo guardarci negli occhi in modo meno antagonistico e più collaborativo per studiare forme di avvicinamento l'uno all'altro, non solo per joint-venture con scambi azionari, ma anche per trovare la soluzione di lavorare insieme in modo più costruttivo, per esempio per aumentare la possibilità di fuoco su un mercato che è più globale e per questo anche più costoso». Quella che «di fondo» occorre è, dunque, «un'apertura e un po' di coraggio dopo una serie di scossoni che indubbiamente sono umanamente difficili da assorbire».
«L'entità del dimagrimento, conclude Zegna, dipende da quanto riusciremo a caratterizzarci nel prodotto alto di gamma, creativo, con un forte valore aggiunto e un forte servizio. E a quanto riusciremo a promuoverlo, questo prodotto. Tra tre anni sarà necessario aver dimostrato un avvio in questa direzione».
Estratto da CorrierEconomia del 20/06/05 a cura di Pambianconews