Un'azienda controcorrente, con un tasso medio di crescita del 30% negli ultimi 4 anni; un imprenditore che ha saputo prima responsabilizzare e poi avere il coraggio di cedere le redini del comando ai due figli; un tormentone di vecchia data, «Toglietemi tutto ma non il mio Breil», un matrimonio con la moda (leggi D&G Dolce & Gabbana) nato sotto il segno della complementarietà.
Il giro d'affari è di 234 milioni nel 2004 supportato da quattro milioni di orologi, gioielli e accessori commercializzati dai 7.500 punti vendita e dai tredici negozi monomarca (tre gestiti direttamente per «monitorare con mano le collezioni» e gli altri dieci in franchising). Vendite che si identificano nei marchi di proprietà Wyler Vetta (“pezzi” d'élite venduti fra i mille e i cinquemila euro), Breil e Tribe by Breil; in quello a licenza D&G, Dolce & Gabbana Time, cui si sommano gli altri quattro distribuiti in esclusiva: Nike Timing, Seiko, Lorus e i telefonini alti di gamma Vertu.
Il tutto a fronte di quasi 200 dipendenti e un export attestato al 23% che nel giro di tre anni dovrebbe raddoppiare; 35 milioni spesi in marketing e comunicazione, «che saliranno a 40 quest'anno». Per non parlare degli altri cinque milioni investiti in ricerca e design, senza dimenticare utili di un certo peso (9,63 milioni il risultato netto d'esercizio messo a bilancio nel 2004).
Estratto da Il Sole 24 Ore del 20/06/05 a cura di Pambianconews