Le stanno provando tutte per salvare la scarpa made in Italy.: dentro le aziende cercano strategie nuove di produzione e distribuzione. E fuori chiedono che il governo intervenga con provvedimenti forti.
«Ha ragione il presidente di Confindustria Montezemolo quando dice che, per andare avanti, le imprese italiane devono essere sostenute attraverso un mix di azioni che vanno dalla manovra sull' Irap, che è andata come è andata, fino alla riduzione dei costi sociali a carico delle imprese», racconta il presidente dell'Anci (l'associazione dei calzaturieri), Rossano Soldini che rilancia: «Ma oggi la situazione è così grave che non basta quel che si sta facendo per proteggere il made in Italy. L'accordo ventilato in queste settimane sul fronte del tessile, per esempio, è troppo all'acqua di rose». E allora i calzaturieri alzano il tiro: «Contro la concorrenza massiccia e sleale della Cina e dintorni, chiediamo procedure antidumping e l'introduzione dei dazi».
Per non aumentare i prezzi, ma senza limare troppo i loro margini di guadagno il retail che cosa fa?
Si rivale sul fornitore che a sua volta per mantenere stabili i prezzi deve andare a produrre in mercati che non abbiano costi made in Italy. Delocalizza in Romania, Ucraina, Taiwan, Cina e se non basta, compra direttamente prodotti made in Cina».
Questo spiega la moltiplicazione selvaggia delle importazioni di moda e soprattutto di scarpe gialle. Che fare?
«Rafforzare l'immagine del marchio e fare leva sulla distribuzione. Una politica che costa in termini di investimenti. E le singole aziende parlo di quelle medie e piccole, non hanno la forza contrattuale per sostenere un impegno economico di questo tipo. Gioco forza unire competenze, risorse e marchi. Non è un caso che negli Usa si assista a un processo iniziato da tempo, di concentrazione dei retailer. Un modo per realizzare economie di scala, risparmiare cioè su due voci fondamentali: acquisti e comunicazione».
Estratto da Affari&Finanza del 20/06/05 a cura di Pambianconews