Il “Club dei Distretti“, emanazione dei principali distretti industriali italiani dal 1994 in poi aggregava il patrimonio conoscitivo di meno di una ventina di esperienze distrettuali: il tessile, l'occhialeria del Cadore, le sedie friulane, le rubinetterie della Valsesia, i coltelli di Maniago.
Oggi c'è la globalizzazione, ci sono i cinesi, ci sono le nuove sfide di prodotti e di mercato. Così l'ultima assemblea generale del Club dei Distretti ha deciso che era venuto il momento per un cambio di denominazione: “Distretti Italiani” rappresenta sicuramente meglio il forte segnale di apertura che viene lanciato dall'associazione, figlia di Unioncamere e di Confindustria, verso una realtà ora molto più composita e numericamente notevole.
“Un esempio è quello di Montebelluna, racconta il segretario di Distretti Italiani Italo Candoni. Un distretto storico, della scarpa sportiva, mutato in sistema produttivo locale, lo sport system, ed ora ancora di più in trasformazione, visto che i 9000 addetti provengono nel 2005 da dodici etnie diverse”.
Nel “distretto cosmopolita” anche il ragionamento sul concetto di delocalizzazione risulta quindi essere relativo. "Più che delocalizzare serve internazionalizzare, con reti lunghe e filiere, in modo che si replichino anche in altri Stati dei ponti con le nostre realtà produttive”, racconta Candoni.
Estratto da Affari&Finanza del 30/05/05 a cura di Pambianconews