Occupazione in forte calo, fatturato in discesa: la moda italiana lancia l'allarme-crisi. Nel 2004 il fatturato del settore tessile-abbigliamento-moda ha registrato un calo dell'1,4% a 42,5 miliardi. Se si somma questa flessione a quella del biennio 2002-2003 (pari al 10%), la moda italiana ha perso valore per circa 5,2 miliardi rispetto al 2001. È quanto emerge dal bilancio elaborato dal centro studi di Sistema Moda Italia (Smi), dove sono evidenti anche riflessi pesanti per l'occupazione: quasi 24mila posti di lavoro persi nel 2004, oltre 66 mila nell'ultimo triennio) con il numero delle aziende attive che si è ridotto a meno di 68 mila unità di cui oltre il 95% di dimensioni piccole e piccolissime.
A penalizzare l'occupazione anche la tendenza delle “Maison” a delocalizzare all'estero, soprattutto nei paesi a basso e bassissimo costo del lavoro. Ultima casa a seguire il trend verso la Cina è Prada. La società sta valutando la possibilità di trasferire parte della sua produzione, quella di prodotti meno esclusivi, in Paesi mediterranei più economici dell'Italia o, appunto, in Cina. Lo ha detto il presidente ed amministratore delegato della casa di moda Patrizio Bertelli a Financial Times. Bertelli esprime anche la sua opposizione a misure protezionistiche in Europa e negli Usa per arginare l'afflusso di tessili dalla Cina.
Contrario ad ogni ipotesi di spostamento della produzione all'estero è invece Umberto Angeloni, amministratore delegato della sartoria italiana Brioni Roman Style. I nuovi ricchi, consumatori di prodotti di lusso sono particolarmente sensibili a questi cambi. L'origine del prodotto è «un elemento essenziale del fattore sogno» per questo tipo di consumatore. Secondo Angeloni se c'è una carenza di sarti italiani, è meglio portare sarti cinesi in Italia ed addestrarli, piuttosto che spostare la produzione in Cina.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 21/05/05 a cura di Pambianconews