“Ma lei gli abiti da indossare li sceglie la sera o al mattino? Lo fa d'impulso oppure ci pensa? E che mi dice del colore rosa le piace?”. Inizia cosi, a ruoli rovesciati, l'incontro con Robert Polet, l'uomo che Franqois Pinault, patron del colosso francese Ppr, nel luglio scorso ha chiamato alla guida del gruppo Gucci.
E il made in Italy? Resterà? Oggi producete tutto in Italia, ma l'estate scorsa c'erano state voci di possibili delocalizzazioni per Bottega Veneta.
Non si può far finta di non sapere che il mondo si sta globalizzando, che la competizione sui costi è sempre più forte, ma penso che prima di spostare anche in parte la produzione bisogna valutare bene l'identità del marchio. E a tutt'oggi penso che sia impossibile per un cliente sognare una borsa o una scarpa Gucci che non siano fatte in Italia.
A proposito di costi: anche altre grandi regine del lusso stanno facendo pulizia, eliminando marchi che perdono. La Lvmh ha appena ceduto a investitori americani Christian Lacroix. E per il vostro gruppo si parla di una possibile vendita di Balenciaga…
Io non compro e non vendo. Ci sono marchi come Gucci che crescono e fanno utili, altri che crescono ma possono e devono arrivare al nero in bilancio come Ysl (che per ora guadagna solo con i cosmetici), Stella McCartney e Alexander Mc Queen. Balenciaga non è in vendita: sta crescendo e l'obiettivo è di portarlo a essere in utile nel 2007.
Bulgari e Armani stanno mettendo la firma anche sugli alberghi. Sta per arrivare anche un grand hotel Gucci?
Per ora, mi accontento di quello che ho. Credo che basti, o no?
Estratto da Panorama del 4/02/05 a cura di Pambianconews