Gli ultimi dati sulla produzione industriale made in Italy, dicono che a novembre 2004 le perdite maggiori le hanno vissute i settori della pelle e calzature che, rispetto al mese prima, hanno perso il 16,3%. «Una situazione molto grave. Nei fatti il 2004, racconta il presidente dell'Anci, Rossano Soldini, è il terzo anno consecutivo di congiuntura negativa. E il futuro non si prospetta migliore. A meno che vengano rese operative le richieste che abbiamo presentato nei giorni scorsi ai ministri competenti, con l'obiettivo di permettere ai produttori italiani di giocare ad armi pari con i concorrenti di Cina e Estremo Oriente».
«Certo è che per mettere in pratica le contromisure necessarie, dobbiamo ragionare con una logica europea», dice l'imprenditore e designer Vito Artioli che di estero ne sa qualcosa: il 99% delle collezioni che escono dai suoi stabilimenti di Tradate («destinate a un pubblico molto selezionato», tiene a dire) prendono la strada delle capitali mondiali della moda. Ma soprattutto dal suo osservatorio di presidente del Consorzio europeo moda e calzature suggerisce: «Dobbiamo imparare a fare partnership produttive, distributive con gli spagnoli, i francesi e tutti gli altri. Difendere il made in Italy contro un gigante come la Cina è un'impresa titanica».
Dello stesso avviso GianBeppe Moreschi, presidente della storica azienda di Vigevano che in controtendenza rispetto alla crisi del settore, a settembre dell'anno scorso ha fatto un investimento corposo aprendo un grande stabilimento (super attrezzato con annesso asilo nido per i figli dei dipendenti) dove ha riunito tutte le attività. La ricetta Moreschi per spalmare il rischio paese, è stato quello di diversificare moltissimo i mercati dell'export. Grosso modo, non più del 10% delle produzioni per ciascun paese. Con due grosse ripartizioni: 50% Europa (di cui 25% Italia) e 50% resto del mondo.
Estratto da Affari & Finanza del 31/01/05 a cura di Pambianconews