Un posto su dieci è a rischio nella moda. Un lavoratore su dieci è in mobilità o in cassa integrazione. Filtra Cgil ha provato a fermare i conti alla fine dello scorso anno e tra tessile, abbigliamento, calzature e pelletteria sono venuti fuori 90mila addetti: 35mila in cassa integrazione ordinaria, 15mila straordinaria e 40mila in mobilità nel corso del biennio 2003-2004. Due anni terribili per il sistema moda, conclusi con un bilancio pesantissimo: 51mila posti di lavoro in meno.
«C'è un grosso problema di consumi: il forte calo risparmia solamente il lusso. E c'è un problema di cambio: è vero che costano meno le materie prime, acquistate in dollari, ma bisogna sostenere tutti gli altri costi in euro, a partire dal lavoro, e tutto è più difficile con la moneta cinese sottovalutata». Traccia un quadro complesso Tito Burgi, presidente dell'Associazione tessile italiana. «Proprio il monte del settore, aggiunge, è il più colpito: soffrono terribilmente soprattutto i prodotti a basso valore aggiunto».
«Abbiamo suonato il campanello, dice Paolo Zegna, presidente di Sistema moda Italia, senza avere risposte. Pensiamo che la crisi della moda debba essere prioritaria per il Governo: si tratta di difendere un settore che dà lustro al Made in ltaly. Per di più, non stiamo chiedendo salvataggi improduttivi ma misure per il futuro, per tornare a investire con forza sul settore, armi di difesa dai prodotti più banali. Come l'obbligo di indicare l'origine. È fondamentale che il Governo faccia pressione sugli altri Stati per ottenerlo».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 27/01/05 a cura di Pambianconews